Tutto quello che è andato storto con i dati nel 2025
Vi sblocco 5 brutti ricordi
In questo numero: tutto quello che è andato storto nel 2025 rispetto a dati e tecnologia. Tipo: l’attacco alla democrazia di Donald Trump con la cancellazione dei dataset, lo strapotere dell’ICE, la malafede dei ministri della nostra repubblica, la produzione di indagini senza metodo scientifico e altri fatti. La newsletter poi torna il 14 gennaio.
Messaggi splendidi che ricevo da chi ha letto “Perché contare i femminicidi è un atto politico” durante le feste:
Su SkyTG24 racconto dell’istituto Mila di Montréal, dove sono stata ad agosto, per scoprire come si lavora e si studia per garantire uno sviluppo etico e sostenibile dell’intelligenza artificiale.
Su Domani ho scritto della manosfera statunitense, con i dati del Manosphere Index.
Sei tra le 14642 persone che leggono la newsletter. Nell’ultima puntata abbiamo parlato di chi conta i femminicidi in Italia, compiendo atti di cura e resistenza:
Che dire della sconsiderata venerazione della gente per gli autocrati? Come ignorare, come perdonare tutto il male che quei tempi ci avevano consegnato in eredità (…) e il Grande Disastro di cui erano stati consapevoli ma che non avevano voluto evitare?
Ian McEwan, Quello che possiamo sapere (Einaudi, 2025)
Tutto quello che è andato storto con i dati nel 2025
Niente più dati aggiornati sugli omicidi volontari. A gennaio in Italia il ministero dell’interno ha deciso di cambiare periodicità nell’aggiornamento del bollettino degli omicidi volontari, da settimanale a trimestrale, ma senza avvisare e senza dare spiegazioni sulla scelta fatta. I dati sono quindi prima scomparsi, poi arrivati ad aprile, dopo l’omicidio di Ilaria Sula e una protesta nazionale partita anche da questa newsletter. Con Associazione onData scriviamo un’email ogni tre mesi per chiedere spiegazioni e fornire indicazioni utili su come migliorare la pubblicazione dei dati, ma non riceviamo risposta. La legge 53 del 2022 che dice come pubblicare i dati sulla violenza di genere rimane inapplicata.
Negli Stati Uniti, interi dataset cancellati. A inizio anno, a pochi giorni dall’insediamento di Donald Trump come presidente degli Stati Uniti, avevo scritto “Cosa succederebbe se i dati che dimostrano e raccontano i cambiamenti climatici raccolti dagli enti statunitensi venissero semplicemente cancellati? Archivi da migliaia di record spenti, ricerche interrotte, serie storiche alterate”.
È successo. Non solo ai dati climatici, ma a tantissimi altri settori. Alcune delle statistiche eliminate o ridotte riguardano, tra gli altri, rapporti tra disuguaglianza di reddito e vulnerabilità ai disastri, il monitoraggio sanitario delle visite al pronto soccorso legate all’abuso di sostanze, e dati su lavoratrici e lavoratori agricoli. Sono stati tolti anche dati sulle persone transgender dalle statistiche sui detenuti e domande sull’identità di genere nei sondaggi sulle vittime di crimini. L’intera lista è consultabile in questo sito creato “in memoria” dei “dataset defunti”, a cura di un gruppo di data scientist.Attacco alla ricerca. Restiamo negli Usa, dove più di 1500 progetti scientifici finanziati dalla National Science Foundation (NSF) sono stati cancellati dallo scorso aprile. A essere colpiti sono stati soprattutto quelli che promuovevano inclusione, parità e accesso all’istruzione per i gruppi sottorappresentati. Secondo i dati dell’osservatorio Grant Watch i tagli riguardano circa il 4% dei 40715 progetti attivi dal 2020, e stanno colpendo in particolare le università pubbliche, le comunità marginalizzate e i progetti con finalità inclusive. Le nuove linee guida della NSF infatti, ridefinite dall’amministrazione Trump, hanno introdotto criteri che escludono le proposte ritenute non in linea con le priorità della Fondazione. Tradotto: se un progetto menziona parole come diversità, inclusione, sotto-rappresentazione o equità, è a rischio taglio.
A marzo in effetti era comparsa una lista di parole “pericolose” da evitare per non perdere fondi o il posto di lavoro. Lo spiegavo anche in un video.
L’ICE ha un enorme potere di accesso ai dati dei cittadini e delle cittadine statunitensi e li usa per le deportazioni. Nel 2025 l’agenzia per il controllo delle frontiere ha anche ottenuto un accordo con i centri per Medicare e Medicaid per accedere direttamente a un enorme database che contiene informazioni personali come indirizzi di casa, numeri di telefono, numeri di previdenza sociale e, potenzialmente, dati medici sensibili di quasi 80 milioni di utenti. Questo accesso viene giustificato ufficialmente come strumento per individuare e localizzare persone da deportare, ma ovviamente è una violazione massiva della privacy. L’Ice ha anche accordi per ricevere dati fiscali (nomi, indirizzi etc.) dall’IRS (l’agenzia delle entrate) e ora sta cercando di creare un sistema di sorveglianza online 24/7 che monitori piattaforme social come X (Twitter), Facebook, Instagram, TikTok, YouTube e Reddit, trasformando post, profili e attività pubbliche in “lead investigativi” per operazioni di enforcement e deportazioni.
Torniamo in Italia, con i “dati a caso”. I nostri ministri credono di poter usare i dati a loro piacimento, creando indagini senza alcuna metodologia scientifica per raccontare che l’educazione sessuo-affettiva nelle scuole viene svolta regolarmente e ottiene anche cambiamenti significativi (!!!), e al tempo stesso non usano i dati per prendere decisioni o rendono difficile l’accesso ai dataset per capire come vengono spesi i soldi pubblici o li pubblicano in ritardo (vedi i centri in Albania e la relazione annuale sull’applicazione della legge 194 per l’accesso all’interruzione volontaria di gravidanza). I dati vengono usati per fare propaganda - ancora una volta penso all’immigrazione, alle percentuali lanciate come pietre nel dibattito sulla sicurezza - ma non per gestire adeguatamente fenomeni che vengono presentati come priorità nazionale. Se cerchiamo la frase “mancano dati pubblici” dentro il portale delle notizie di Google, troviamo decine di articoli sui temi più disparati. Ho fatto la stessa domanda anche a Perplexity. Da questo punto di vista, purtroppo, facciamo un passo avanti e dieci indietro.
Certo, per ogni punto elenco di questa lista ci sono atti e movimenti di resistenza di cui ho ampiamente parlato nella newsletter, nei pezzi che ho scritto e nel mio ultimo libro. Per ogni tentativo di oppressione c’è una ribellione, ma più la ribellione si fa comunitaria, si organizza, ha successo, più le modalità di reprimerla si fanno dure. Non solo cancellando i dataset, ma riscrivendo con una narrazione violenta le esperienze di cittadinanza attiva. Penso al centro sociale Askatasuna di Torino, sì, o a Spin Time a Roma (minacciato di sgombero), alla Sumud Flotilla e alle piazze piene per gli scioperi di questi mesi, ma anche alle indagini ad hoc per screditare la solidarietà alla popolazione palestinese.
Per il 2026 faccio miei gli auguri di questo meme, dunque: essere morbidi tra di noi e duri con il sistema.
La dataviz della settimana
L’ha prodotta Axios, sui temi che hanno interessato di più gli utenti di Google Search negli Stati Uniti. La metto come esempio di rappresentazione di un dataset composto da decine di variabili, che di solito si consiglia di evitare: qui invece risulta abbastanza leggibile, perché ogni riga è un argomento (persone, eventi politici, conflitti, fenomeni culturali), mentre l’altezza delle “onde” indica il livello di interesse di ricerca in un determinato momento, normalizzato su una scala da 0 a 100. Non stiamo quindi osservando volumi assoluti, ma picchi di attenzione nel tempo.
E ci risentiamo il 14 gennaio!










