Contare come atto di cura (è Natale)
Belle storie di persone che sono uscite dalle pagine del mio libro.
In questo numero: l’aspetto più interessante dei dati e delle statistiche per me rimangono le persone che se ne occupano. Che letteralmente misurano, contano, quantificano fenomeni, negoziano definizioni, domande, questionari di indagine. Aprono fogli di calcolo per capire meglio, per mantenere viva la memoria. Sono molto fortunata ad averle incontrate, oltre ad aver scritto di loro.
“Perché contare i femminicidi è un atto politico” è tra i consigli di fine anno de Il Libraio, grazie!
Su SkyTG24 c’è una mia lunga intervista a Giulio Cocchini, emergency coordinator di Cesvi, che dopo l’ultimo mese e mezzo a Gaza dice:
Sono entrati camion anche umanitari, ma in quantità totalmente insufficiente a coprire il fabbisogno. Soprattutto è esploso il numero di camion commerciali, del settore privato, provenienti da Israele, con canali separati da quelli umanitari, e che rispondono a logiche commerciali: quindi noi, che costruiamo latrine e potremmo comprare materiali in Egitto a un prezzo giusto, dobbiamo comprarli sul mercato locale, costano dieci volte tanto, e alla fine fai un decimo delle latrine che servirebbero.
Per un regalo di Natale last minute in effetti potresti fare una donazione a Cesvi.
Sei tra le 14551 persone che leggono la newsletter. Nell’ultima puntata abbiamo parlato di dati sulle diagnosi di HIV e sessuofobia:
La qualità dei dati passa anche da qui. Dalla cura, dall’attenzione, dal fare buone domande.
Linda Laura Sabbadini, Il paese che conta (Marsilio, 2025)
Belle persone che “contano”, e sono uscite dalle pagine del mio libro
Ho scritto il mio primo libro per dire “ehi, i dati ci riguardano, sono attorno a noi, ecco come maneggiarli con cura”. Il secondo per andare in profondità nel modo in cui i sistemi digitali quei dati li maneggiano; il terzo per mettere delle basi solide, filosofiche, all’assunto per cui i dati non sono neutri e l’oggettività è un concetto culturale che può cambiare nel tempo, e il modo in cui produciamo statistica e disegniamo algoritmi può discriminare le persone, ed essere causa di ingiustizia sociale.
Con quest’ultimo libro mi sono occupata di femminicidi, ma soprattutto di chi li “conta”. Perché l’umanesimo dei dati, il data humanism che mi interessa far emergere, proprio per (far) comprendere che i dati sono costrutti sociali, è quello degli umani e delle umane che quei dati li generano.
In questi mesi molte di queste persone sono uscite dalle pagine che ho scritto per apparire in carne e ossa accanto a me sui palchi o nel pubblico degli eventi.
Per esempio Enrico Bisogno, che mi ritrovo a Vicenza, prima davanti a un bicchiere di vino e poi dentro la chiesa di San Vincenzo in piazza dei Signori, in un evento organizzato dalla Casa di cultura popolare. Enrico è una delle persone che per anni ha prodotto il Femicide Brief, il report delle Nazioni Unite (dell’agenzia UNODC) con il conteggio dei femminicidi a livello globale. Durante la presentazione del libro parla con limpidezza di cosa è la statistica e di come, ovviamente, sia sempre frutto di scelte, che cambiano, che si ridefiniscono a seconda dei bisogni di contare e comparare fenomeni.
Cristina Mostosi invece la abbraccio a novembre, arrivo alla Sapienza che la sento parlare al microfono, riconosco prima la sua voce, poi il volto. Siamo lì per un’iniziativa dedicata a Ilaria Sula, studentessa del dipartimento di statistica, uccisa da uno studente di architettura lo scorso marzo. Una delle cose che Cristina dice al microfono, una banalità, lo so, per chi ha il pollice verde, è che “piantare una iris in memoria di una vittima di femminicidio significa anche ricordarsi di bagnarlo, prendersene cura”. Cioè, di tutti i gesti simbolici che si possono compiere per sensibilizzare sul tema della violenza di genere, avere dei bulbi da piantare intanto ci fa sporcare letteralmente le mani. Poi ci coinvolge per i mesi e gli anni a venire: non possiamo dimenticarcene, altrimenti l’iris non fiorisce. Cristina ha piantato più di 70 aiuole di iris in memoria di sua sorella Paola Mostosi, uccisa nel 2002. Chi conta, chi misura il suo impegno?
Poi c’è Fè. Una persona che quando parla in pubblico inizia dichiarando che quello non è il suo mestiere, sostenendo di non essere capace, e poi invece tiene tutti con il fiato sospeso. È una leader naturale, ho imparato a conoscerla dopo tre eventi insieme. L’ho intervistata per il libro a inizio anno, è dentro il libro, ma sono molto felice, egoisticamente, perché mi ha fatto bene, di averla conosciuta e frequentata anche fuori. Fa parte del movimento Non Una di Meno, a Torino, e conta i femminicidi passando i suoi momenti liberi a rintracciare le notizie sui motori di ricerca. Mi commuove pensarci, mentre scrivo risento la sua voce, e rivivo i gesti di chi quotidianamente digita parole come donna uccisa, marito uccide moglie, donna trovata morta suicidio persona trans, sperando di non vedere nuovi nomi da aggiungere all’elenco, che per NUMD è l’Osservatorio aggiornato ogni 8 del mese. Poi c’è il fatto di aprirli, quegli articoli, sentire lo stomaco stringersi per il dolore, pensando a una vita che non c’è più ma anche notando di come sui giornali si parla dei singoli casi (raramente in modo sensato, soprattutto per alcune vittime). Aggiungere una riga all’excel condiviso con le compagne, magari aspettarsi una telefonata dai parenti che ringraziano, o dicono “a miə figliə è successo questo, forse dovete aggiungerlə all’archivio”. Se guardando quei dati dell’Osservatorio tutti potessero vedere anche Fè, mentre ne parla con tenerezza, sparirebbe l’odio dai social, ma soprattutto dai commenti sotto le notizie sui femminicidi e i negazionisti andrebbero a cercarsi un altro tema da negare.
Marina Musci invece è venuta ad almeno due presentazioni del libro, forse tre? Lei (e anche un altro suo collega, che mi ha fatto conoscere in una di queste serate) conosce a memoria i dati del prezioso report con i dati sulle sentenze dei femminicidi del 2017-18, prodotto con il mandato della Commissione parlamentare d’inchiesta sui femminicidi sotto la presidenza della senatrice Valeria Valente. Che incontro sempre in questi mesi, grazie al prezioso Filippo Sensi, per cui il mio libro finisce per essere presentato al senato, discutendo di dati che mancano con la promotrice della legge che dovrebbe invece garantire la sistematicità della raccolta e dell’analisi (la famosa legge 53 del 2022).
Agnese Interdonato ha messo in connessione i fondi del reddito di libertà e la loro reale efficacia con la creazione di modelli statistici predittivi. Me lo racconta un giorno alla Sapienza, e quindi finisce nel libro, viene a sentirmi a presentarlo a Roma. E Anna Bardazzi, continua a (rac) contare le persone che rischiano di essere dimenticate più delle altre: oltre a esserle grata per aver portato il francese nel mio feed con i contenuti femministi che condivide (lo parlo bene, ma i miei social sono sempre stati colonizzati da contenuti anglofoni), lo sono per come insiste sulle storie meno conosciute, che finiscono per risultare fuori dalle statistiche. Per esempio quella di Mara Favro.
C’è Sabino Metta che non ho ancora abbracciato, ma a lui io e Paola Chiara Masuzzo dedicheremo una puntata intera, ce n’è bisogno.
Ho anche conosciuto tantissime persone che di violenza di genere se ne occupano quotidianamente, avvocate, giudici, operatrici dei centri antiviolenza, psicoterapeute. Le esperte di cui ha parlato Simona Ammerata di D.i.re nella diretta che abbiamo fatto per la campagna Dati Bene Comune, e che dovrebbero contare di più nella definizione delle domande d’indagine sulla violenza, o nelle leggi approvate dal governo.
In questi giorni sto seguendo un corso online internazionale sul ‘contare i femminicidi’ e nel forum leggo i post di persone che assomigliano a quelle che ho incontrato io negli ultimi mesi. Hanno, abbiamo, la stessa ossessione per la giustizia, per la memoria, per la cura reciproca, per la conversione di numeri e statistiche in azioni politiche concrete.
Mi sembra il modo giusto di occuparsi di dati.
La dataviz della settimana
Anche la dataviz della settimana è una persona. Si chiama Laura Rossi, è architetta dell’informazione e ux designer con la predilezione per il settore sanitario, in particolare per il wayfinding (cioè il design per orientare negli spazi) e per la trasformazione di linguaggi difficili in contenuti comprensibili a tuttə. Nel 2016 ha fondato H-Maps, una start-up che progetta la visualizzazione dei percorsi di cura e che risistema la gerarchia delle informazioni ospedaliere mettendo al centro i pazienti.
Nel 2023 è stata ospite di questa newsletter e “la sua vita è cambiata”, mi dice davanti a un caffè che prendiamo velocemente a Genova a metà dicembre.
H-Maps era nato per disegnare mappe delle terapie per specifiche patologie emato-oncologiche, oggi si occupa di temi diversi. Il suo ultimo lavoro è una guida per i genitori che si trovano ad affrontare l’esperienza della tin, la terapia intensiva neonatale, per le nascite premature, realizzata con l’azienda ospedaliera Bolognini di Segrate:


Ora vi lascio alle preparazioni di cene, cenoni, pranzoni. Noi ci risentiamo il 31 dicembre con l’ultimo numero dell’anno. E se nevica a Natale fatemelo sapere, vista la mia ossessione ❅ !





