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Paola Chiara Masuzzo's avatar

Grazie per questa puntata. C’è tantissimo su cui interrogarsi e riflettere. Rileggendola pensavo che in fondo forse quello che fa la differenza è (come sempre?) il perché delle cose. Quasi tutti i dibattiti intorno ai diritti della proprietà intellettuale sono nati fino a oggi in contesti o di business o di sistemi di produzione del sapere, dove gli obiettivi sono sempre stati orientati o al profitto, o allo status accademico, ai crediti e alla costruzione di una certa reputazione. Rimettere in discussione il perché del copyright quindi, piuttosto forse che il copyright stesso, mi sembra fondamentale, e mi pare fondamentale ad esempio provare a immaginare come cambierebbero le cose se la motivazione dietro tutto divenisse, non so, la tutela di comunità marginalizzate, o la promozione della salute e dei diritti delle donne? Così, due cose a caso. È sempre una questione di potere, sì.

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Donata Columbro's avatar

E il fatto di "poter" fare una cosa con uno strumento non deve per forza indurci nello sfruttare questa possibilità, mi viene anche da aggiungere. Il perché è fondamentale, altrimenti siamo automi.

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Mafe de Baggis's avatar

Grazie per la citazione, io sono contro il copyright da molti anni perché non trovo giusto che la sua espressione naturale (le royalties) valga per l’autore dotato di potere contrattuale e non per tutti gli altri. È più facile da vedere per il cinema o la musica che per i libri, ma vale anche per i libri. Per le AI: il training per me rientra sempre nel fair use anche se chi lo fa è una corporation perché il vantaggio per tutti è incredibilmente superiore alla perdita di uno (non è che vendi meno libri se un’AI si addestra con il tuo). È la posizione esplicita del Giappone e spero diventi presto una posizione diffusa, perché una rete neurale non prende un contenuto per goderne o per usarlo, lo studia e lo trasforma in pattern.

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Donata Columbro's avatar

ciao Mafe, è anche il CC0 1.0 Universal che so essere presente sul tuo sito da diverso tempo a farmi riflettere. Perché a livello collettivo, se certe idee non vengono mai attribuite a certe comunità (io come singola persona posso fregarmene, ma come donna?), mi chiedo se a trarne i vantaggi non sempre siano le solite élite. Se fossimo in un mondo giusto ed equo e tutti avessimo lo stesso potere allora CC0 1.0 potrebbe funzionare, ma imporlo non perpetrerebbe le ingiustizie di appropriamento dei saperi - che poi finiscono per non essere riconosciuti? (pensiamo a "la storia e la cultura ma anche la scienza l'ha fatta l'Occidente) Ho molte domande, più che risposte.

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Mafe de Baggis's avatar

Capisco il timore e anche io ho molte domande. La mia posizione però si basa su due persone e due scelte, quella di Ilaria Capua di rendere pubblica la sequenza genica del virus dell’aviaria (e per cui probabilmente è stata perseguitata) e quella di Aaron Swartz, che è stato perseguitato per certo, fino al suicidio.

Anche la vergogna che citi, quella della storia dell'occidente, non dimostra che un certo modo di proteggere le idee va ripensato?

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Donata Columbro's avatar

sì, certo, così com’è non funziona. Penso anche a Salvatore Iaconesi e al suo lavoro sugli open data. Non ho in effetti citato Aaron Swartz o l’open access, ma se pensiamo a tutto il sistema di pubblicazione universitaria così come funziona oggi è assolutamente ingiusto e crea disuguaglianze, invece di abbatterle. Per me non dobbiamo smettere di farci questa domanda: chi è avvantaggiatə, chi è discriminatə oppure oppressə, dal sistema così com’è? E da chi lo sfrutta così com’è, senza metterlo in dubbio?

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pollywantsacracker's avatar

Non so, sicuramente parlo dalla mia esperienza di vita e di lavoro specifica, ma non mi sento una donna contro le AI, bensì un'umana schiacciata dalle corporation con tutto quello che, da alcuni decenni, ne consegue, e in particolar modo la recente esplosione delle AI. Certo, in un mondo maschilista subisco i bias che hanno addestrato questa ipnocrazia (cit.). Ma il mio punto di vista e il mio interesse di (femmina) marketer che utilizza direttamente o indirettamente dati, AI e sistemi di Meta & co da 15 anni, non è lo stesso né dell'autrice (che giustamente ha un problema con il copyright - che, certo, ha anche una dimensione femminista), né quello di mia figlia dislessica che usa tantissimo chatGPT, né tantomeno della executive o della ingegnera che siede ai tavoli dei big del tech. Spero non sembri una polemica, volevo solo dire che ho la percezione che il punto di vista femminista non sia il (mio, almeno) principale punto di vista nello specifico contesto della depredazione del lavoro intellettuale da parte delle AI.

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Donata Columbro's avatar

No no, altro che polemica, secondo me il tuo punto di vista mette proprio in luce il fatto che ci siano contraddizioni a cui non possiamo dare una risposta universale. Sempre secondo me eh. Quindi grazie 🙏🏼

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paolo moretti's avatar

Solo per segnalare che il libro è presente anche in Anna's Archive https://annas-archive.org/search?index=&page=1&q=Donata+Columbro&display=&sort=

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Francesco D'Isa's avatar

Ciao Donata, grazie degli spunti. È un punto di vista intelligente che condivido in parte. Per quel che riguarda l'attribuzione quando si parla di AI mi sembra secondaria o impossibile, perché sono miliardi di dati: sarebbe bello poter dire solo “l'umanità”, come attribuzione. Sarà il mio spirito buddista a farmi detestare l'ego. Quanto alla condivisione, a mio parere deve passare da modelli aperti, dovremmo pretendere software open source, non pagamenti agli editori, che lascerebbero i singoli autori e autrici per lo più fuori dal gioco. Ne ho scritto molto qua: https://www.engramma.it/eOS/index.php?id_articolo=5836

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Donata Columbro's avatar

Ovviamente speravo in tuo commento, perché singolarmente, sulla mia produzione personale, la penso come te. Ma al tempo stesso la nostra posizione occidentale, bianca, su questo tema, deve essere anche riconosciuta come tale. Non abbiamo tutti lo stesso potere e non traiamo tutti gli stessi vantaggi dagli strumenti tecnologici. Sono d'accordo sulla trasparenza e l'open software, così come l'inesistenza di quella cosa chiamata genio creativo. Anzi, mi sono dimenticata di ri-condividere la nostra conversazione sul tema. Però mi chiedo se non ci stiamo perdendo un pezzo del dibattito a non considerare posizioni storicamente oppresse sulla questione dell'appropriazione.

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Francesco D'Isa's avatar

Il fatto è che il copyright è uno strumento di oppressione, per chiunque non sia una grande azienda o un singolo celebre, dunque da quella parte non troveremo aiuto. È vero quel che dici e dovremmo infatti pretendere che usare le AI non sia un privilegio di un gruppo sociale, e per questo dovremmo chiedere codice aperto, ma anche infrastrutture collettive e protezione per i lavoratori sottopagati nell'ambito AI (e non solo ovviamente)

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Marco Cortella's avatar

Tante riflessioni importanti in questa puntata.

Sta girando su LinkedIn questo post, volutamente fittizio e provocatorio: https://www.linkedin.com/posts/johnpcutler_im-shook-this-leaked-memo-from-silonova-activity-7323133480207269888-SzfB. Mi chiedo, però, in quanto tempo potrebbe diventare realistico.

Si parla ancora troppo poco dell'impatto che potrebbe avere l'IA nella vita delle persone.

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Donata Columbro's avatar

salvo!

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Marco Cortella's avatar

Che poi basta leggere questi due articoli per capire che non siamo così distanti da quella realtà:

https://www.wired.it/article/accelerazionismo-efficace-intelligenza-artificiale-musk-silicon-valley/

https://www.wired.it/article/ai-first-lavoro-cose/

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