I dati obiettivamente servono, e lo sweet spot (per me) è quel compromesso che sposa l'approccio quasi sartoriale di Niki Nakayama con le possibilità delle tecnologie digitali. Niki Nakayama lavora con i dati di prime parti, analogici, ma sempre di prime parti sono.
Tante aziende invece usano strumenti di terze parti (meta, TikTok, etc...) fornendo così tutto alle piattaforme per avere indietro una parte soltanto.
Sarebbe già qualcosa decidere prima che dati ho bisogno e come li utilizzerò, senza cadere nella tipica trappola del "raccogli tutto che poi ci penso". Così si può lavorare con i dati limitando la surveillance economy.
Una cosa che vedo spesso: ogni possibile piattaforma installata in un sito e i gestori che manco se ne ricordavano più. Le aziende potrebbero intanto iniziare con una pulizia di primavera, rimuovere i pixel di tracking se non fanno più campagne, interrogarsi se il servizio x gli serve davvero o è un tanto per.
disclaimer: non tracciare è contro il mio interesse.
D'accordissimo con la chiosa finale: avere spazio (inteso come tempo) per "fare ricerca" è la cosa che rende il mio lavoro di data analyst diverso e che mi ha sempre aiutato a "riuscire".
Ci vogliono manager illuminati, vero, ma anche capacità di fornire i risultati richiesti o almeno i principali.
Non sono invece d'accordo al 100% con la necessità di aggiungere la "varietà": nella mia esperienza è quasi più fruttuoso "ridurre il rumore", guidando un approccio che si concentri su quei segnali principali che aiutano a spiegare la maggior parte dei risultati.
E serve anche saper dimostrare che molto spesso le richieste più complesse possono contribuire a spiegare solo una piccola parte dello scenario analizzato.
Mi rendo però conto scrivendo che cammino sull'orlo di un paradosso: detta male sto dicendo di smorzare la curiosità del manager di turno (che a volte sono impossibili da soddisfare, diciamolo!) per poter avere più tempo per sfamare la nostra... :/
È interessante la conclusione finale "dobbiamo abolire il concetto di perdita di tempo" che è un po' come dire che non dobbiamo più misurare il tempo in relazione al suo rendimento atteso (economico, professionale o emotivo). Una conclusione politica con cui non posso che essere d'accordo, ma va in direzione contraria rispetto a quella del sistema in cui viviamo.
I dati obiettivamente servono, e lo sweet spot (per me) è quel compromesso che sposa l'approccio quasi sartoriale di Niki Nakayama con le possibilità delle tecnologie digitali. Niki Nakayama lavora con i dati di prime parti, analogici, ma sempre di prime parti sono.
Tante aziende invece usano strumenti di terze parti (meta, TikTok, etc...) fornendo così tutto alle piattaforme per avere indietro una parte soltanto.
Sarebbe già qualcosa decidere prima che dati ho bisogno e come li utilizzerò, senza cadere nella tipica trappola del "raccogli tutto che poi ci penso". Così si può lavorare con i dati limitando la surveillance economy.
Una cosa che vedo spesso: ogni possibile piattaforma installata in un sito e i gestori che manco se ne ricordavano più. Le aziende potrebbero intanto iniziare con una pulizia di primavera, rimuovere i pixel di tracking se non fanno più campagne, interrogarsi se il servizio x gli serve davvero o è un tanto per.
disclaimer: non tracciare è contro il mio interesse.
D'accordissimo con la chiosa finale: avere spazio (inteso come tempo) per "fare ricerca" è la cosa che rende il mio lavoro di data analyst diverso e che mi ha sempre aiutato a "riuscire".
Ci vogliono manager illuminati, vero, ma anche capacità di fornire i risultati richiesti o almeno i principali.
Non sono invece d'accordo al 100% con la necessità di aggiungere la "varietà": nella mia esperienza è quasi più fruttuoso "ridurre il rumore", guidando un approccio che si concentri su quei segnali principali che aiutano a spiegare la maggior parte dei risultati.
E serve anche saper dimostrare che molto spesso le richieste più complesse possono contribuire a spiegare solo una piccola parte dello scenario analizzato.
Mi rendo però conto scrivendo che cammino sull'orlo di un paradosso: detta male sto dicendo di smorzare la curiosità del manager di turno (che a volte sono impossibili da soddisfare, diciamolo!) per poter avere più tempo per sfamare la nostra... :/
È interessante la conclusione finale "dobbiamo abolire il concetto di perdita di tempo" che è un po' come dire che non dobbiamo più misurare il tempo in relazione al suo rendimento atteso (economico, professionale o emotivo). Una conclusione politica con cui non posso che essere d'accordo, ma va in direzione contraria rispetto a quella del sistema in cui viviamo.