Chiedere i dati può essere un atto razzista
Se la quantificazione diventa una "tecnologia della fiducia" è un problema
In questo numero: quando qualcunə denuncia un’ingiustizia sociale non è necessario avere i dati per crederci. E una richiesta di questo tipo può risultare razzista.
Oggi abbiamo un super sponsor che sostiene questa newsletter e che ci accompagnerà per tre puntate in cui osserveremo come l’accesso all’acqua potabile e pulita sia un diritto fondamentale per ottenere giustizia sociale a tutti i livelli: è WeWorld, una organizzazione non governativa che lavora in diversi paesi del sud globale ma anche in Italia, e che ha realizzato un Atlante ricco di informazioni e dati che ti invito a scoprire. Clicca sul link :)
Esiste una sorta di fede indiscussa nell’idea che accumulare dati e diffonderli in tutti i settori di un’organizzazione produca un qualche tipo di progresso.
Jerry Z. Muller, Contro i numeri (Luiss Press, 2018)
Chiedere i dati può essere razzista
La scaletta della serata organizzata dalle attiviste di Salmon Magazine a Verona prevedeva che io e Norma Rossetti, fondatrice e amministratrice delegata di un negozio di sex toys online di enorme successo, ma anche di un brand di prodotti per il ciclo mestruale, insieme all’ostetrica veronese Dalila Coato, rispondessimo a 5 domande su 5 tabù sul corpo delle donne - e di tutte le persone con utero - a partire dai dati (io) e dalle voci della community (Norma). Ogni domanda rivolta a me prevedeva una “richiesta” di dati su questi temi. Mi succede spesso. Sono “quella dei dati” e le persone si aspettano che io ne porti per discutere di disuguaglianze, discriminazioni, ingiustizie. Temi di cui mi occupo.
Ho fatto i compiti sul treno per Verona, recuperando tutte quelle statistiche che avrebbero potuto essere utili per rispondere alle 5 domande preparate da Dalila.
Quando mi siedo sul meraviglioso divano rosso fuoco nella sede di Salmon Magazine mi rendo conto che di quegli appunti non ho più nessuna traccia: in treno avevo lavorato al computer, ma a causa della scarsa connessione internet la sincronizzazione con le note del telefono non si è mai attivata.
Più di 100 persone in sala, in attesa. Io, sono senza dati.
Ma agli esami orali ho sempre preso ottimi voti e così, quando Dalila “mi interroga” davanti al pubblico, invece di citare numeri ufficiali, provo a guidare le persone nel chiedersi cosa sono esattamente quei dati di cui abbiamo bisogno per parlare di disuguaglianza.
Cosa rappresentano? Cosa vogliamo dimostrare citandoli?
Nel 2015 Candice Lanius, all’epoca studentessa di dottorato al dipartimento di comunicazione e media del Rensselaer Polytechnic Institute, scrive che a fine 2014 molti giornali statunitensi avevano pubblicato le statistiche riguardanti la violenza perpetrata dalle forze di polizia nell’anno precedente, cercando di rispondere a questa domanda:
La polizia americana sta prendendo di mira e uccidendo in modo sproporzionato le persone nere?
Tutte le risposte erano universalmente sostenute dai dati, da dichiarazioni di oggettività e da un tono retorico “di verità scomode”.
Continua Lanius (originale in inglese, qui tradotta da un’IA):
Le loro conclusioni, tuttavia, erano molto diverse tra loro. Usare le statistiche per parlare dell'aggressione della polizia razzializzata implica accettare che la verità non possa essere trovata tra le sue vittime.
Da dove arriva la nostra ossessione per i dati?
La richiesta di prove statistiche è iniziata come risposta all'urbanizzazione nell'Europa del XVIII secolo; diventò improvvisamente possibile per due individui che vivono in grandi città non incontrarsi mai o condividere esperienze simili. Theodore Porter nel suo libro del 1995, Trust in Numbers, esplora la storia della quantificazione e delle statistiche nella vita pubblica europea e americana. Esaminando una varietà di forme di governo (monarchia, democrazia e autocrazia) e diverse discipline accademiche (scienze attuariali, economia politica e ingegneria sociale), Porter scopre un processo comune in cui le statistiche sono adottate come parte delle "strategie di comunicazione". La quantificazione è una "tecnologia della fiducia" che crea un linguaggio comune che collega diverse professioni, discipline e comunità.
Il titolo di questa newsletter è ispirato - letteralmente - al pezzo di Lanius, che infatti conclude così:
Cosa significa questo in termini pratici? Una donna bianca può dire che un quartiere è "losco" e la maggior parte delle persone sorriderà e annuirà. Lei si sentiva insicura e noi fidiamo automaticamente della sua opinione. Un uomo nero può raccontare al mondo che ogni giorno vive nel timore della polizia, e improvvisamente tutti richiedono prove statistiche per dimostrare che la sua esperienza di vita sia reale. Avvicinarsi a una "società post-razziale" non richiederebbe diversi tipi di prove per raccontare le nostre storie di vita: prove aneddotiche per le persone bianche, statistiche per le persone nere.
Ai media che costantemente richiedono che le esperienze vissute siano supportate da statistiche, ecco un controllo dei fatti per voi: la vostra richiesta di prova statistica è razzista.
Io noto che i dati, oggi, sono richiesti con veemenza anche alle donne che denunciano le violenze, e che queste prove statistiche non bastano mai, c’è sempre un cavillo a cui si attaccano certi gruppi di potere per sminuire la portata del fenomeno.
Che dobbiamo fare, dunque, smettere di usarli? No, ma ricordarci, ancora una volta, che sono solo uno dei mezzi che abbiamo a disposizione per raccontare e rappresentare la realtà.
Questa newsletter è sostenuta da: WeWorld
Di tutte le ingiustizie sociali nel mondo, ce n’è una che ci passa proprio sotto gli occhi, anzi ci scorre davanti, ma spesso ne sottovalutiamo l’impatto: è l’accesso all’acqua.
Una risorsa limitata che per molto tempo è stata usata in modo totalmente irresponsabile, con conseguenze gravi sulla vita delle comunità e delle persone più vulnerabili, in tutto il mondo, compreso il nostro paese. Sì, perché se sono più di 2 miliardi le persone che non hanno accesso ad acqua sicura e potabile a livello internazionale, in Italia ci sono 7 milioni di persone che non sono collegate alla rete fognaria pubblica.
Questi sono solo alcuni dei dati presenti nell’Atlante Flowing Futures di WeWorld, nato per offrire una panoramica a livello mondiale sull'accesso all'acqua, prendendo in esame le principali barriere per riannodare i fili di quattro anni di attuazione della Strategia Globale WASH dell’organizzazione, con l'obiettivo finale di affermare ancora una volta come i servizi WASH siano più che semplici rubinetti e servizi igienici, ma catalizzatori di un futuro più luminoso, più sano e più equo per tutti e tutte.
L’accesso all’acqua è essenziale per godere di altri diritti umani come l’educazione, la salute, il lavoro, l’abitazione, la parità di genere e un’alimentazione sana. Un diritto quindi trasversale, intersezionale, che non dovrebbe restare un privilegio.
L’Atlante individua le principali aree a forte stress idrico, dove le risorse sono limitate a causa del cambiamento climatico o di situazioni di destabilizzazione politica e sociale: ci sono i paesi del Medio Oriente, come per esempio la Siria, dove a causa della guerra il sistema idrico ha subito gravi danni alle infrastrutture e la popolazione è particolarmente esposta ad emergenze sanitarie, come le epidemie di colera. Qui, gli interventi di WeWorld hanno coinvolto quasi 1,2 milioni di persone, con 135 servizi igienici e sanitari ricostruiti nelle scuole, e la distribuzione di più di 3.000 kit per l’igiene personale, 1.835 kit per l’igiene mestruale e 5.300 kit per la prevenzione del colera.
L’Italia è all'11° posto nella categoria dell’Indice mondiale che misura l’accesso dei Paesi all’acqua potabile, ma, ecco un altro dato interessante dell’Atlante, disperdiamo 157 litri per abitante al giorno: una quantità che coprirebbe il fabbisogno idrico di oltre 43 milioni di persone per un intero anno.
Nelle prossime puntate di questo spazio dedicato all’Atlante scopriremo come lavorare per garantire l’accesso all’acqua potabile abbia un impatto positivo per le donne in termini di empowerment e libertà dalla violenza, ma anche quali sono gli effetti dell’emergenza climatica sulle zone già in stato di crisi e come mitigarli.
Leggi di più e scarica l’Atlante.
La dataviz della settimana
Oggi vi metto un’infografica storica di William Edward Burghardt "W. E. B." Du Bois, attivista, sociologo, storico e scrittore statunitense, il primo afroamericano a ottenere un dottorato (ad Harvard), fu anche uno dei fondatori della National Association for the Advancement of Colored People (NAACP), un'organizzazione chiave nella lotta per i diritti civili.
Le sue data viz sono opere significative che combinano dati, design e narrazione per contestualizzare e comunicare le esperienze dei neri negli Stati Uniti agli inizi del XX secolo. Questa in particolare fu creata per l'Esposizione Universale del 1900 a Parigi:
Il tour continua
Roma, OGGI 20 marzo alle 19 presso il circolo Zalib presentazione di Quando i dati discriminano con il book club di Will Media: per partecipare bisogna prenotarsi a questo link e usare il codice TISPIEGOILDATO
Domani giovedì 21 marzo alle 16:30: mi trovate online al webinar dedicato a insegnanti di scienze e di matematica organizzato da Rizzoli Education e Erickson sull’importanza della data literacy nelle scuole secondarie di primo grado. Bisogna iscriversi per seguire e fare domande.
Roma, 23 marzo: sono al festival di giornalismo ambientale “Le parole giuste”, alle 12:30, presso Le Industrie Fluviali. Con Ettore Di Cesare di Openpolis, la giornalista di Radio3 Cristiana Castellotti, moderati da Sara Vegni di A Sud. Tutto il programma qui.
Forlì, 25 marzo: presentazione del libro a cura del collettivo femminista Monnalisa alla libreria Mondadori, alle 21:30.
Segnalazioni. Su La Stampa ho scritto di come il PNRR non favorisca la parità di genere, con un commento di fuoco dell’economista Azzurra Rinaldi. Nell’ultimo podcast dedicato alle Città di Will Media ci sono anche io, e parlo di molti dati contenuti in uno dei numeri della newsletter più apprezzato e commentato di sempre, quelli che ci aiutano a capire come realizzare città a misura di bambini e bambine.
Se non l’hai ancora fatto, raccomando caldamente di leggere l’ultima puntata di Ti Spiego Il Dato, scritta da Simone Riflesso, con il suo esercizio di quantificazione e visualizzazione della sua reclusione sociale. Ricordo anche che è grazie a chi sostiene la newsletter con un abbonamento che sono possibili queste collaborazioni (retribuite), spero sempre più numerose. Pensaci <3
Noi ci sentiamo mercoledì prossimo!