Che forma ha la mia esclusione sociale? #1
Storia di una quantificazione, a firma del primo guest editor dell'anno
In questo numero: il primo pezzo dell’anno a cura di un ospite esterno che sono molto orgogliosa di aver coinvolto ancora una volta per TSID.
Lui è Simone Riflesso, era già stato da queste parti due anni fa a raccontarci del suo SondaPride e oggi condivide un lavoro di quantified self personale che però ha dei risvolti e un impatto molto più ampi della sua singola esperienza.
Intanto “Quando i dati discriminano” continua a girare, ne parlo il 15 marzo a Verona con Salmon Magazine e il 20 marzo a Roma presso il circolo Zalib con il book club di Will Media: per partecipare bisogna prenotarsi a questo link e usare il codice TISPIEGOILDATO.
Mi hanno intervistato anche su Il Mondo e ne ho chiacchierato a lungo con Samuel Algherini in questo podcast.
E ora, la newsletter.
“Ma cosa succede quando un corpo, che riteniamo di nostra proprietà, smette di indossare i panni prodotti dalle nostre regole, divergendo dalla norma stabilita?”
Giulia Paganelli, Maleficae: I corpi avvelenati (Einaudi Quanti)
Che forma ha la mia esclusione sociale?
di Simone Riflesso
Ti sei mai chiestə quante volte sei uscitə di casa durante l’anno? Potrebbe sembrare una domanda sciocca, soprattutto agli occhi di chi dà per scontato che non ci sia nulla di strano nell’uscire dalle mura domestiche quando lo si desidera. Per me, che sono una persona non autosufficiente e ho possibilità estremamente ridotte di decidere quando avventurarmi nel mondo fisico, rappresenta la risposta al mio livello di esclusione sociale.
Un minimo di contesto: sono diventato non autosufficiente quattro anni fa per un incidente, di quelli che potrebbero capitare a chiunque. Dopo nove mesi in istituto per la riabilitazione, sono finito ad abitare in una paesino sperduto nella provincia, ospitato da mia madre. Qua non conosco praticamente nessuno, sono lontano da tutti i rapporti e gli affetti che avevo costruito, e passo quasi tutto il mio tempo chiuso in casa. Le esigenze del mio corpo mi portano a organizzare il mio tempo in base ai turni di lavoro di mia madre e di alcuni parenti che si alternano per darle un po’ di sollievo, proprio perché il mio corpo non mi permette di essere indipendente.
Misurare la mia autonomia da quando sono diventato non autosufficiente è un quesito costante e doloroso. O meglio, io so che passo la quasi totalità del mio tempo fra le mura della torre d’avorio che mi tiene imprigionato in questa landa desolata come una moderna Raperonzolo qualsiasi. La vera domanda che mi pongo è: come raccontarlo? Come descrivere la mia particolare esperienza a chi ignora la portata della condizione che caratterizza me e altre centinaia di migliaia di persone in Italia nella mia stessa situazione?
Lo stimolo mi è arrivato proprio in uno di quei rari momenti in cui ho abbandonato le pareti di casa. Il 10 settembre 2023 sono partito per la mia prima vacanza da quando sono diventato disabile, 4 anni fa. Mi sono concesso tre notti in un villaggio turistico a Jesolo, in compagnia di amiche e amici disabili conosciute sui social, per bontà delle occasioni che internet offre a chi come noi anime reiette fatica a trovare un confronto autentico fra pari. Sono potuto andare a questa “vacanzina”, come l’abbiamo chiamata, grazie a unə accompagnatorə che mi ha assistito durante la gita. Per una volta non è stata mia madre, l’incaricata ufficiosa della mia libertà vigilata.
Primo giorno di mare settembrino, ed ecco che l’illuminazione su come raccontare il mio isolamento sociale mi arriva mentre registro una storia su Instagram.
Un gesto banale e abitudinario, attraverso cui ordinariamente lascio traccia delle mie giornate, ma che in quel momento è un fulmine a ciel sereno. Mi vedo riflesso sullo schermo dello smartphone in un’improbabile mise da spiaggia dei tempi che furono, e mi accorgo di un dettaglio raro e vibrante ai miei occhi da recluso: sullo sfondo, dietro di me, c’era un intenso cielo blu.
Mi è subito scattato chiaro come il sole che mi illuminava in quella rara occasione di libertà conquistata a caro prezzo, lo stratagemma per raccontare la mia quotidianità di clausura obbligata: in quante delle storie che abitualmente pubblicavo sui miei social, mia primaria finestra sul mondo, avevo come sfondo il cielo?
Ho aspettato dicembre per raccogliere tutti i dati necessari per analizzare la mia prigionia nel 2023, con la pazienza un po’ arrendevole di chi sa che il tempo è l’unica risorsa su cui può contare.
Arrivati i primi giorni di gennaio, mi sono servite poche ore per campionare le 1278 storie pubblicate nel 2023. Con l’obiettivo chiaro pronto da mesi, sono volato di pubblicazione in pubblicazione sapendo perfettamente cosa contare: il numero di volte in cui sullo sfondo delle mie storie di Instagram sono comparse le mura domestiche e in quante invece il cielo.
Leggere nero su bianco sul foglio di calcolo il numero esatto di quest’ultimo dato, dava una concretezza amara e vibrante al mio quesito: 19.
Durante il 2023 ho pubblicato 19 storie in cui era presente il cielo, a significare un’uscita da casa.
Andando a vedere come si posizionano sul calendario, diventa tutto estremamente nitido. Queste storie si raggruppano in brevi eventi riconoscibili, un totale di 9 uscite. 3 eventi spot che potremmo chiamare “toccate e fuga”, della durata di qualche ora in una singola giornata, e 6 in cui la consecutività delle giornate richiamano un pernottamento fuori casa.
Per me è facilissimo risalire alla natura di ogni singola uscita.
In 6 fra le 9 uscite sono stato invitato a un evento in cui la mia presenza è strettamente connessa a progetti personali e argomenti di cui ho trattato nel 2023 sui social: disabilità, rappresentazione della disabilità negli spazi online, accessibilità e intersezione fra disabilità e comunità lgbtqia+. Quello che hanno in comune queste 6 occorrenze è la presenza di un rimborso spese o un gettone di presenza: ho potuto prendervi parte perché non ho dovuto occuparmi della componente economica. Diversamente non avrei potuto permettermi queste gite fuori porta, se avessi dovuto pagare interamente di tasca mia trasporto, vitto e alloggio per me e il mio accompagnatore (più il suo compenso naturalmente).
C’è poi il caso eccezionale della prima e unica vacanza che mi sono concesso da quando sono disabile: 4 giorni in cui mi sono occupato di tutte le spese, arrivando a sborsare più del doppio di tutte le altre partecipanti.
A dirla tutta potrei dovermi ritenere fortunato, dal momento che il 58% delle persone con gravi limitazioni in Italia denunciano l’impossibilità di permettersi una settimana di ferie (secondo l’indagine EU-SILC per conto di Eurostat 2021).
Il rapporto fra partecipazione sociale e possibilità economiche è strettamente interconnesso. Ma questo è risaputo: disabilità e deprivazione economica vanno di pari passo, sia per le persone disabili che per i loro familiari, tenuti dal sistema familistico italiano a prendersi cura di loro.


Fra un’uscita documentata nelle storie e quella dopo, essendo così rare, può arrivare a passare molto tempo. La pausa più lunga fra un’uscita in cui compare il cielo e quella successiva è di 88 giorni, fra la quarta (5 marzo) e la quinta (2 giugno). In quel periodo in realtà, ancora giocavo a hockey in carrozzina, e c’è stata una ricorrenza in famiglia quindi, nonostante non compaiono, non si può parlare di una reclusione di 88 giorni continuativa.
Il secondo intervallo in cui sembra abbia passato più tempo in casa fra una pausa di cielo e quella successiva è di 85 giorni, fra la sesta (17 giugno) e la settima gita fuori porta, la mia prima vacanza a Jesolo (10 settembre). Anche in questo caso, ricordo distintamente due compleanni in famiglia a cui ho partecipato, in due diverse serate. Ma anche chi vive in carcere ha la possibilità di staccare con qualche ora d’aria no?
L’ultimo importante intervallo di tempo passato in casa va infine dall’ultima uscita del 2023 (15 ottobre) a Natale (nonostante non compaia il cielo nelle storie), per un totale di 70 giorni di reclusione, probabilmente intervallati da una visita medica.









Accorgermi di aver normalizzato, in maniera quasi arrendevole, i lunghi periodi trascorsi tra le quattro mura di casa è stato uno schiaffo. Mi ha mostrato un me stesso dall’esterno della scena, a volo d’uccello, un punto fermo al centro della planimetria dell’appartamento che mi ospita. Mi sono visto occupare gli stessi punti della casa, ciclicamente, giorno dopo giorno, per ore. Gli stessi muri, gli stessi mobili, le stesse persone, agli stessi orari. Anche le emozioni si ripetono, uguali, appiattendosi in un unico continuo senso di stasi e atopia. La claustrofobia dei sensi. Come può una mente non deformarsi sotto il peso di questa solitudine controllata? Che effetto ha tutto questo sulla salute mentale mia e delle centinaia di migliaia di persone non autosufficienti che vivono sulla loro pelle l’esclusione sociale?
Quantificare il tempo trascorso fra le uscite scandite dalla presenza del cielo nelle storie, è un dato che ha reso ancora più concreta la forma del mio isolamento.
Vedere e riconoscere i 234 giorni in cui nelle storie di Instagram si ripete dietro di me l’interno di casa, nell’80% dei giorni in cui sono stato attivo sui social, è un tuffo al cuore. Ma mi fa sentire in qualche modo più credibile, in grado di dimostrare che non è tutta solo una mia impressione. Posso mostrare cosa significhi vivere la mia esperienza.
Dalla percezione ai dati.
(fine prima parte)
[Quando ho letto questo pezzo di Simone ho pensato che mancasse un pezzo, e cioè quello che rende la sua esperienza intima, personale, una realtà purtroppo non assolutamente unica, ma anzi molto comune per le persone non autosufficienti. E infatti Simone stava già scrivendo anche una seconda parte, ricca di statistiche ufficiali, per dimostrare che questa situazione invisibile, che raramente viene raccontata sui giornali, e che quindi influisce in minima parte anche sulle nostre scelte politiche, è in realtà la violazione di un diritto umano fondamentale. Non vedo l’ora che possiate leggere anche quella.]
Dove mi trovate prossimamente
Verona, 15 marzo: FEMALE O FAMALE? Parliamo di cose scomode! Alla sede della redazione Salmon sono in dialogo con Norma Rossetti, fondatrice e ceo di My Secret Case e l’ostetrica veronese Dalila Coato. Ci si prenota su Eventbrite.
Firenze, 18 marzo: a Villa Bardini alle 15 intervengo al seminario “Intelligenza Artificiale: verso nuovi universi e paesaggi?” dedicato a insegnanti di ogni grado. Si passa da qui per prenotarsi, ci sono ancora posti liberi.
Online, 21 marzo: anche qui finalmente ho il link del webinar dedicato a insegnanti di scienze e di matematica organizzato da Rizzoli Education e Erickson sull’importanza della data literacy nelle scuole secondarie di primo grado.
Roma, 23 marzo: sono al festival di giornalismo ambientale “Le parole giuste”, alle 12:30, presso Le Industrie Fluviali. Con Ettore Di Cesare di Openpolis, la giornalista di Radio3 Cristiana Castellotti, moderati da Sara Vegni di A Sud. Tutto il programma (wow) qui.
Forlì, 25 marzo: presentazione del libro alla libreria Mega alle 21:30.
A mercoledì prossimo!
Grazie, questa uscita è preziosa, non vedo l’ora di leggere la prossima
Mi sorprende sempre quante storie che non conosciamo possano assumere forza e visibilità grazie al lavoro sui dati. E questa storia merita davvero di "farsi vedere". Grazie a Simone per averla raccontata e a te per avermela fatta conoscere!