Data feminism in azione: raccogliere i dati sull'accessibilità dei Pride in Italia
Ti spiego il dato - 🦩 Summer edition #3
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Nei mesi estivi la newsletter diventa mensile e scritta da unə ospitə illustre che ho presentato con un data portrait qui.
Oggi è il 21 agosto ed è il turno di Simone Riflesso che sono molto felice di farvi conoscere qui.
Mi chiamo Simone e no, Riflesso non è il mio vero cognome, ma facciamo che è come se lo fosse.
Sono content creator, copywriter, illustratore, pensionato, atleta e combattente che veste alla marinara.
Ho una disabilità motoria acquisita ingombrante con cui sto ancora facendo i conti da meno di tre annetti e un profilo instagram dove mi racconto e parlo di abilismo, l’oppressione sistemica che investe e svaluta le persone disabili. È un po’ la mia maniera per riconoscere il modo in cui mi sento visto in questa nuova forma.
Ho una formazione da graphic designer. Sono affascinato in particolar modo dalla data visualization e dal modo in cui è possibile spiegare fenomeni complessi in forma grafica. Sono costantemente iper stimolato e pieno di idee, ma passo gran parte del tempo a farmi paranoie a cercare soluzioni a problemi che mi creo da solo.
Cosa succede quando una guerriera sailor scopre i fogli di calcolo
Questa è la storia di come sono diventata ufficialmente la guerriera sailor che combatte le ingiustizie invocando il potere di Excel, ovvero: quando l’attivismo incontra i dati.
Il Pride è uno dei momenti più attesi e sentiti della comunità lgbtq+, che sempre più massicciamente si riversa nelle strade delle città per rivendicare il proprio posto in società, la propria visibilità. È quello che fa la comunità arcobaleno nel mese di giugno, dal lontano 1969. Quest’anno milioni di persone hanno manifestato il proprio orgoglio, invadendo le vie di più di 50 città italiane. Mai così tante manifestazioni per celebrare l’orgoglio del mondo queer.
Peccato che se il tuo corpo e la tua mente non funzionano come la norma, come ci si aspetta, come si dà per scontato che succeda, tutto questo per te sarà più difficile. Le persone disabili sono fra le più escluse e emarginate dalla società, dai servizi, dalle iniziative politiche e ludiche a causa di una diffusa difficoltà a prevederle come cittadinə attivə, e purtroppo la comunità lgbtq+ non è da meno. In questo modo persone disabili lgbtq+ non vedono le loro esigenze e le loro tematiche prese in considerazione dall’associazionismo mainstream. Urge una rapida presa di coscienza, ma come?
Facendo parte di entrambe le categorie, nutro un certo interesse per il tema.
Secondo le ultime (poche) ricerche italiane, se alcune persone disabili lgbtq+ trovano nelle associazioni un luogo di accoglienza, parallelamente la comunità queer è accusata di discriminazione e disinteresse. Secondo l’indagine Abili di cuore del 2007, in molti lamentano distacco a causa della propria disabilità dal mondo omosessuale, oltre che una generica mancanza di occasioni di incontro per vivere la propria sessualità e affettività. Questo anche a causa di una generica mancanza di accessibilità dei luoghi di socializzazione.
È necessario portare l’attenzione su questo tema. Magari sfruttando la recente proliferazione del sacrosanto principio di intersezionalità nel panorama dell’attivismo transfemminista, soprattutto dall’introduzione del concetto di abilismo (la discriminazione delle persone disabili) in relazione a quello di omotransfobia (la discriminazione delle persone lgbtqia+) all’interno del ddl Zan. Se è vero che si è iniziato infatti a sottolineare quanto le rispettive battaglie godrebbero di un’unione delle forze, è altrettanto vero che spesso l’intersezionalità è una bella parola che trova facilmente posto in tanti sontuosi discorsi ma non si traduce poi in pratica. Per esempio se il contesto nel quale si invoca l’intersezionalità poi non risulta accessibile alle persone disabili o la cui mente funziona in maniera atipica rispetto alla media. Si insomma, non si può parlare di intersezionalità senza accessibilità.
Ebbene, come lanciare un segnale senza che venga preso come una lagna ignorabile? Ce l’ho. Il mio passato nella data visualization (più volgarmente, infografica) mi è venuto in soccorso, si è trasformato nel mio scettro lunare. Ed eccomi qua: una paladina della giustizia pronta a punirti nel nome dei dati. Quale miglior modo di spiegare un problema se non dimostrarlo?
Unico dilemma: non ci sono dati su questa tematica. Se generalmente mancano i dati sulla disabilità, figurati cosa succede quando due minoranze si sommano. Come fare? Semplice: creiamo i dati. Ho avuto l’intuizione nel mese di maggio, giusto prima di quello dell’orgoglio della comunità queer. Non poteva esserci momento più propizio! Perché non fare un sondaggio coinvolgendo direttamente gli enti organizzatori dei pride? Mi sarei fatto dare direttamente da loro i dati di cui avevo bisogno, lanciando contemporaneamente un segnale giusto prima del periodo dei Pride. Chissà che nel frattempo qualche stimolo già non passi in questa maniera. (Spoiler: è passato!)
Dopo una veloce ricerca e l’aver stilato quelle che reputavo fossero le domande fondamentali, mi sono avventurato nel meraviglioso mondo dei Google Form (sempre sia lodato), ho confezionato bene il progetto e ho inviato la richiesta di partecipazione a tutti e 50 gli enti italiani comparsi sulla piattaforma ondapride.it.
L’obiettivo: fare una mappatura del livello di inclusione della disabilità nei pride italiani. Qual è il livello di accessibilità del Pride e delle iniziative ad essi collegate? Quale spazio hanno le persone disabili lgbtq+ all’interno delle manifestazioni? In pratica: quale spazio ha la disabilità nelle iniziative di rivendicazione dell’orgoglio lgbtq+? Un giro di mail e il gioco è fatto, non mi restava che aspettare. O in alcuni casi, tartassare come un forsennato gli enti organizzatori più indisciplinati. Mi hanno risposto in 42.
Di settimana in settimana ho pubblicato sul mio profilo Instagram i risultati poco prima delle manifestazioni stesse, in modo tale da rendere il progetto anche una risorsa di orientamento per le persone disabili e neurodivergenti. Mi sono posto anche il problema di rendere accessibili i risultati. La figata è stata che man mano ho chiesto aiuto e la community mi ha risposto, portandomi a correggere il tiro. Ho fatto questo durante tutto il mese di giugno e di luglio, per poi procedere finalmente a un’analisi dei dati aggregati per rispondere alle domande che mi ero posto all’inizio. Mi sono presto accorto che la modalità dell’autodichiarazione dava risultati decisamente ottimistici.
Non ho ben capito se qualche organizzatore ha cercato di fare il furbetto pompando i risultati o non ha colto le richieste, temo non lo scopriremo mai. Potrei tranquillamente aprire il vaso di Pandora e abbandonarmi al drama, ma non è questo il giorno.
Sono andato a controllare dove possibile sui social e sui siti ufficiali per verificare le dichiarazioni, ma non era possibile farlo con tutte le domande poste. Ho pensato allora di lanciarmi con una coraggiosa - o piuttosto masochistica - controprova. Ho invocato la prorompente potenza di un nuovo google form e ho chiesto a persone disabili e neurodivergenti di raccontare la loro esperienza ai pride per metterla a paragone con le dichiarazioni degli organizzatori. La rete, il supporto di amicə attivistə sui social e la collaborazione di alcuni enti Pride ha fatto il resto. Hanno risposto in pochi giorni in 161. Not bad.
Adesso grazie a questa mappatura, è soprattutto possibile visualizzare il problema, dargli una forma. E soprattutto, sapere cosa può provocare la mancanza di accessibilità, visualizzarlo, lo rende più comprensibile. Ad esempio è assolutamente chiaro quanto sia necessario lavorare sulla comunicazione. In pochissimi hanno un sito web accessibile (lo dichiarano in 11 su 42, risulta effettivamente in 5 casi ma solo uno ha effettivamente un accorgimento minimo per persone con problemi alla vista o dislessiche). In pochissimi comunicano i servizi di accessibilità sui loro sito e solo uno su quattro comunica adeguatamente sui social le iniziative previste per l’accessibilità.
Per le disabilità fisico motorie, in alcuni casi non si è ancora raggiunta una totale accessibilità fisica degli spazi, e evidentemente c’è una poca attenzione nella presenza di servizi igienici accessibili. Sembra esserci una bassissima attenzione per le disabilità invisibili, come per chi ha malattie e dolori cronici e limitate disponibilità energetiche. O per chi rischia un’iperstimolazione sensoriale e chi soffre d’ansia sociale.
Tante persone che spesso si vedono costrette a rinunciare non hanno nemmeno la possibilità di partecipare da casa, visto lo scarsissimo numero di dirette (dichiarate ma non verificate in 15 casi su 42) o registrazione dei contenuti (in soli 6 casi). Sembra già ci siamo dimenticatə di cosa voglia dire non poter uscire di casa. e alle registrazioni degli interventi.
Vedere nero su bianco, o in questo caso blu su viola, le proprie dichiarazioni a fianco di tutti gli altri organizzatori, spero provochi un monito di responsabilità. Spero dalle immagini e dai numeri risulti evidente l’obiettivo, magari in prospettiva dell’anno prossimo. Sapere che c’è chi indagherà la bontà del mio operato, che se ne parlerà in pubblico, che sarà reso noto e sarà valutato, sono sicuro che cambia la mia responsabilità. Insomma se non otteniamo il nostro obiettivo con l’evidenza dei dati, magari lo faremo con la pressione dell’indagine e della pubblica sentenza.
In un modo o nell’altro speriamo di portare a casa qualcosa, anche se a giudicare dai segnali visti già durante questi due mesi, qualcosa si sta muovendo. Per un’analisi approfondita dei risultati e leggere il report finale potete andare qui.
Non uscite nelle ore più calde - ancora per poco (?!)
Ciao, sono di nuovo Donata, e mi prendo questo spazio per dirvi che questa era l’ultima edizione estiva della newsletter. Quella “tradizionale” torna il 6 settembre, anche se mi piacerebbe mantenere una collaborazione fissa con autorə esternə (1 al mese), e spero di riuscirci. Sono particolarmente felice di concludere la serie estiva con questo esperimento di data feminism di Simone, che ha visto la mancanza di dati in un settore in cui si pratica l’intersezionalità e che nel suo piccolo, da solo, ha provato quanto meno a far percepire alle organizzazioni di tutta Italia che ci sono situazioni da prendere in considerazione per essere davvero accoglienti e accessibili quando si tratta di manifestare per i diritti di tuttə.
Il data feminism infatti è anche raccogliere counter data, un’azione che richiede tempo, risorse, investimento, e che può essere utile a risvegliare l’attenzione su problemi, contesti e comunità marginalizzate anche semplicemente ponendo le domande giuste.
Il data feminism funziona anche per:
Da un account Instagram, usando strumenti gratuiti come google form come ha fatto Simone.
Come direbbero le migliori intelligenze artificiali, se ti è piaciuto questo contenuto vai a leggere anche dell’inchiesta DisabledData portata avanti dalla Fondazione Fight The Stroke, e ascolta la puntata dedicata al libro Data Feminism del podcast di Elena Canovi.
Ci rivediamo presto! Metti like, lascia un commento e condividi 💜
Donata e Simone