Che città abbiamo progettato per bambini e bambine? - seconda parte
Esperienze situazioniste e dati situati
In questo numero: una corsa per le vie di Parma martedì mattina mi ha convinta a tornare su un tema che abbiamo già affrontato qui, e che credo sia diventato il mio “impero romano”: com’è la vita in città, soprattutto per le categorie più vulnerabili (e cioè tutti coloro che non sono 30enni maschi bianchi con un buon lavoro). Città giuste, scrive Alberto Vanolo nel suo illuminante saggio “La città autistica”. Città “autistiche” appunto, e non “per” persone autistiche, per bambini, per disabili. Città con un’identità che dobbiamo immaginare diversa.
Novità: ho cominciato a collaborare con SkyTG24. Mi trovate ogni settimana con un articolo su Insider e molto presto anche in formato video.
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E ora, cominciamo.
I data-link della settimana
Una data-notizia a tema: esiste un modo per non fare diminuire il numero di parcheggi in città e, allo stesso tempo, fare spazio ai pedoni? A quanto pare sì, come dimostra l’esempio di Barcellona e dei suoi “superblocks”.
Le Paralimpiadi sono appena finite, ma l’ossessione per lo sport e le gare continua: ecco un dataset in cui trovi tuttə ə medaglistə delle Olimpiadi 2024 per luogo di nascita (che non rispecchia sempre il paese per cui gareggiano!).
(video) È finalmente online un talk che ho preparato (e ho tenuto) con molta emozione: davanti a una enorme platea di giovani e giovanissimə, sul palco dell’evento annuale di AISM dedicato ai giovani con sclerosi multipla, ho parlato di femminismo dei dati, di misurare, contare, di sperimentare e osservarsi, grazie anche a Katia Bouc, una delle mie prime mentore nell’ong dove ho lavorato dopo la laurea, che ha tenuto per me un data-diario di 7 giorni sulla sua percezione di fatica, stanchezza e dolore. Ho parlato di ingiustizia sistemica e di intersezionalità, e alla fine una ragazza è venuta a presentarsi: "nera, disabile, queer? ma sono io! grazie, mi sono sentita vista."
(recensione) La divulgatrice scientifica Annalisa Plaitano ha dedicato un lungo post al mio libro “Quando i dati discriminano”. Se non avete ancora deciso di leggerlo, potreste cambiare idea.
La nostra stranezza punk, con tutte le sue contraddizioni, cambierà il mondo.
Alberto Vanolo, La città autistica (Einaudi 2023)
I dati (situati) di una città che accoglie
Cosa vuol dire che i dati sono situati? Alla presentazione del libro a Parma, lunedì sera, ho spiegato che il modo in cui contiamo e quantifichiamo il mondo dipende dal contesto sociale in cui viviamo, dal luogo geografico, dall’epoca storica, dagli strumenti a nostra disposizione (sensori avanzati, righelli, cronometri,…) e dal nostro particolare punto di vista individuale, che dipende anche dal corpo che abitiamo.
Se il comune di Parma volesse migliorare la sua offerta di servizi pubblici raccogliendo i dati, la persona che pone le domande d’indagine e decide cosa osservare e quantificare avrebbe un’influenza enorme sui risultati: una donna, una persona disabile, una bambina di 5 anni, un bambino di 9, come vivono la città e qual è il loro punto di vista?
Quando SkyTG24 per la nostra nuova collaborazione mi ha chiesto un pezzo per capire quali sono i dati che raccontano una città accogliente è stato abbastanza facile partire da
il verde pubblico e i parchi (Nel documento Unicef "The Necessity of Urban Green Space for Children’s Optimal Development" è ben esplicitato che gli spazi verdi urbani sono essenziali per lo sviluppo fisico, mentale e sociale dei bambini)
gli spazi dedicati alle automobili invece che al trasporto pubblico, e le ore passate del traffico (ogni 10 minuti passati nel traffico la partecipazione ad attività comunitarie scende del 10%)
il numero di biciclette e la presenza di un piano urbano per ridurre gli incidenti (grazie al piano “Cyclist Priority Plan for 2017-2025” la quota di viaggi pendolari in bicicletta a Copenaghen è aumentata, passando dal 43% nel 2017 al 49% nel 2018, con l’obiettivo di arrivare a superare il 50% con zero incidenti mortali)
Un altro dato “facile” da osservare è quello dell’impatto del limite dei 30 chilometri all’ora, come per esempio nella città di Bologna, di cui scrive proprio la nostra Roberta Cavaglià su Sky:
Il piano, soprannominato “Bologna Città 30”, mostra già i suoi risultati: nei primi sei mesi del 2024 non solo sono diminuiti gli incidenti e i morti in strada, ma in città c’è meno traffico, la qualità dell’aria risulta migliore e più persone usano la bici e i mezzi pubblici.
Questi sono più o meno gli indicatori del rapporto dello studio di architettura Arup di cui avevo parlato nella puntata precedente di questa newsletter dedicata al tema.
Altri dati sono quelli che riguardano l’accessibilità: muoversi negli spazi è possibile anche per chi ha una disabilità e si sposta con l’ausilio di una carrozzina? Chi porta i bambini con un passeggino può prendere i mezzi pubblici? Un elenco si trova nel sito dell’Access City Award, con tutte le città che hanno vinto questo premio nel corso degli anni. C’è un problema però, e cioè che vincono solo le città che si autocandidano. Potrebbero mancare città virtuose che non hanno interesse a partecipare. Manca per esempio Copenhagen, ed ecco che arriviamo alla seconda parte di questa newsletter.
Ci bastano l’accessibilità e gli spazi verdi?
L’accessibilità è aprire le porte, l’accoglienza è fare in modo che oltre quelle porte si possa essere se stessi.
Crescere un bambino con il metodo danese è facile a Copenhagen, ho pensato durante la mia vacanza di una settimana con quattro bambinə (due famiglie) mentre i nostri piccoli viaggiatori passavano da un playground all’altro e noi cercavamo sulla guida altri musei o angoli iconici dell’architettura urbana da visitare. Non abbiamo - quasi - mai avuto bisogno di gridare e richiamare costantemente la loro attenzione: non c’erano pericoli. Non solo gli spazi sono progettati per essere funzionali alla presenza deə bambinə (comprese le carrozze famiglia nei treni), ma ci si aspetta che si muovano in maniera autonoma perché sono abbastanza sicuri perché ciò avvenga. Possono togliersi le scarpe e non ci saranno sguardi di disapprovazione da parte di estranei. Possono giocare nel cortile del condominio e nessuno chiamerà la polizia per disturbo alla quiete pubblica.
Chi li porta in giro non deve preoccuparsi di avere abbastanza forza fisica per sollevare passeggini per infinite rampe di scale della metropolitana, perché sono, al 99%, dotate di ascensori. Ogni marciapiede ha la sua rampa, e anche un chilometro e mezzo con 6 valigie e due passeggini diventa come bere un bicchier d’acqua. Immagina poi una persona, una mamma che è lei stessa in carrozzina, a voler portare in giro sua figlia, autonomamente? Può farlo? Sì. non ho scattato foto, ma a Copenhagen sì può.
Se è abbastanza immediato comprendere l’effetto materiale di una barriera (escluderti dalla fruizione di un contesto), i suoi effetti psicoemotivi restano troppo spesso invisibili. Eppure un luogo o un servizio non accessibili, oltre a causare un’esclusione materiale, trasmettono potenti significati: dicono qualcosa riguardo a chi appartiene e chi non appartiene a quel contesto; ci ricordano che siamo «fuori posto», diverse, non previste. Ricevere questo costante promemoria dall’ambiente attorno a noi produce effetti emotivi oltre che pratici e può incidere sul nostro benessere psicologico.
scrive Ilaria Crippi nel consigliatissimo Lo spazio non è neutro (Tamu edizioni).
E ci basta quindi accedere ai luoghi in modo indipendente? Ancora no, non del tutto.
Alberto Vanolo, docente di geografia politica ed economica all’università degli Studi di Torino, vuole andare ancora oltre e scrive che una politica per gli spazi urbani oggi deve progettare città “autistiche”. Cosa vuol dire?
Il progetto ha una dimensione politica assai piú radicale che riguarda l’invocazione di un diritto alla città, l’orgogliosa affermazione di una presenza e di una differenza, il confronto fra modi radicalmente diversi di fare le cose o di vivere lo spazio urbano. Intendere la città autistica come questione politica chiama direttamente in causa il tema delle identità e dei processi di soggettivazione, cioè di costruzione di posizionamenti sociali e di modi di intendere se stessi, di riconoscersi e di rappresentarsi.
Una città autistica, da questo punto di vista, dovrebbe tendere verso l’obiettivo ideale di liberarsi di atmosfere neuronormative.
Facciamo un passo indietro. Vanolo ha un figlio autistico, Teo, con cui sperimenta passeggiate quello situazioniste1 in città, a Torino. Per loro, lo spazio urbano è “un immenso contenitore di occasioni di apprendimento”. Ma funziona solo se Teo, o chiunque, può esprimere liberamente il suo modo di essere. Anche se “eccentrico”, magari potenzialmente disturbante per chi osserva con gli occhi della neuronormatività.
Qualsiasi momento di incontro e lavoro comune con altre persone, a prescindere dal loro bagaglio di esperienza e sapere esperto sull’autismo, aggiunge un tassello importante per una persona neurodivergente. […]
Da questo punto di vista, le battaglie per una città autistica possono potenzialmente saldarsi con quelle di molti altri gruppi minoritari nelle loro rivendicazioni per un diritto allo spazio basato su logiche di convivenza e diversità completamente differenti da quelle attuali, che di fatto sono imperniate in larga misura sull’attribuzione di posizioni sociali e morali differenti a seconda della capacità di produrre e consumare.
Quanto sono accoglienti gli spazi urbani per chi non ha una fissa dimora, per esempio? Altre domande da aggiungere alla lista.
Che dati mi servono ancora, per valutare una città? Come in molti casi, ci sono aspetti misurabili (Vanolo cita per esempio i fattori di stress come il rumore o la luminosità degli ambienti, nel caso delle persone neurodivergenti) e altri in cui le esperienze di ognuno sono talmente diverse e probabilmente uniche da rendere necessaria una fiducia nella percezione dei singoli: una raccolta dati dal basso, di contro-dati, per città resistenti ai processi di normalizzazione.
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6900 miliardi di dollari: è la cifra astronomica che le 60 banche più grandi del mondo hanno destinato al settore fossile negli ultimi 8 anni. Una mole enorme di denaro che equivale, per esempio, a più del doppio del PIL di una potenza come il Regno Unito e a tre volte quello dell’Italia. Il dato è contenuto nel report Banking on Climate Chaos.
E tu che aspetti a cambiare banca?
La dataviz della settimana
In caso di incidenti stradali, i macchinoni come i SUV (che pesano circa 3 tonnellate) uccidono più persone di quante riescano invece a salvarle. Nello specifico, per ogni persona che sopravvive, ne muoiono più di 12.
Lo spiega bene l’Economist in questo articolo.
Il tour continua!
Trento, 25 settembre: presento “Quando i dati discriminano” alla libreria Erickson.
L’Aquila, 3 ottobre: sono felicissima di incontrare tante persone che stimo al DiParola festival, il primo evento in Italia dedicato alla comunicazione chiara e alla semplificazione del linguaggio. Terrò un talk sul tema della precisione.
Padova, 12 ottobre: sono al Cicap Festival, prima volta per me. Il tema è “Misurare il mondo”.
Pisa, 13 ottobre: ci vediamo a Internet festival con Giulia Blasi (evviva!).
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“Strumento cruciale della psicogeografia sono le strategie di «deriva»: camminare, perdersi, passare improvvisamente attraverso spazi urbani differenti, sovvertire i significati e gli usi dello spazio attraverso capovolgimenti di senso e mutazioni di breve durata, cioè costruendo letteralmente situazioni” (Vanolo, La città autistica)
Wow, che puntatona pure questa. Il pezzo sui super blocchi di Barcellona è stupendo: riesce a essere conciso ma allo stesso tempo ricco di esempi che fanno vedere che cosa si può fare.
E la seconda parte in cui poni le domande è già un piccolo manuale di azione (anche mio fratello coi miei nipoti mi ha riportato gli stessi racconti di vivibilità da Copenaghen, dovrò andare a vederlo pure io di persona 😅).
Ah, tanti complimenti per la nuova collaborazione con Sky!