Un Pulitzer al data feminism
E poi: un esempio di giornalismo dei dati in Italia e un regalo dallo sponsor di oggi.
In questo numero: il giornalismo dei dati che vince il Pulitzer e una buona pratica italiana che non ti aspetti.
Ringrazio lo sponsor di questa settimana, la Fondazione Fight The Stroke, nata dall’idea di Francesca Fedeli e Roberto D’Angelo per sostenere la causa dei giovani sopravvissuti all’ictus e con paralisi cerebrale infantile, come il loro piccolo Mario. Ho conosciuto Francesca grazie ai dati ed è per questo che sono particolarmente orgogliosa di averli come sponsor. Suo è stato infatti l’input di rappresentare la situazione delle persone disabili in Italia indagando le statistiche pubbliche a disposizione con il progetto Disabled Data di cui ho parlato diverse volte qui e su cui torneremo. Oggi invece vi ricordo che è tempo di dichiarazione dei redditi e che con il 5 per mille potete segnalare il vostro sostegno a un’organizzazione che lavora davvero per superare gli stereotipi sulla disabilità offrendo attività che uniscono scienza, tecnologia e innovazione, inserendo il codice fiscale di Fight The Stroke nell’apposito box.
Ma prima di parlare di dati vogliamo sapere una cosa.
E ora, cominciamo.
Il cinismo è un atteggiamento inumano, che allontana automaticamente dal nostro mestiere, almeno se lo si concepisce in modo serio.
Ryszard Kapuściński, Il cinico non è adatto a questo mestiere (edizioni e/o, 2011)
Lunedì sera Mona Chalabi ha vinto il premio Pulitzer nella categoria Illustrated Reporting and Commentary. Chi legge questa newsletter la conosce molto bene, perché la cito praticamente una volta al mese, sia per il suo lavoro di data journalist e illustratrice che per la sua abilità di fare alfabetizzazione sui dati come strumento di comprensione della realtà senza dimenticare quanto possano rappresentarla in modo non esaustivo, soprattutto se fai parte di una minoranza. Consiglio, ancora una volta, di recuperare la sua serie di brevi video Am I normal per TED.
Quando ho visto l’annuncio del premio ho fatto un salto sulla sedia e ho scritto a un’amica:
Ok, forse sono stata leggermente scomposta nella mia reazione, ma che i dati e i grafici siano precisione, rigore, chiarezza e verità è ancora un approccio che domina sia la ricerca che il giornalismo.
Invece i dati sono sempre situati, esistono in relazione a chi li produce, chi li analizza e chi li visualizza e quindi non sono neutri, possono tendere alla precisione ma non la raggiungono, e semmai sono veritieri, non sono la verità.
Il lavoro di Mona Chalabi sui dati è l’espressione di tutto questo.
In un'intervista del 2018, dove anticipa tanti temi affrontati da Catherine D’Ignazio e Laureen Klein in Data Feminism, Chalabi sosteneva:
To me, the clinical version of data visualization, which is this idea that we are simply presenting the facts and are cold and emotionless, doesn’t make sense for topics that relate to social justice. So, yes I hope that people don’t feel powerless looking at my illustrations, but I also hope that they feel a sense of outrage. I think that that’s the first step and then telling people what to do about it is the second step.
trad mia: Per me, la versione clinica, fredda della visualizzazione dei dati, secondo cui stiamo semplicemente presentando i fatti e siamo freddi ed emotivamente distaccati, non ha senso per temi che riguardano la giustizia sociale. Quindi, sì, spero che le persone non si sentano impotenti guardando le mie illustrazioni, ma spero anche che provino un senso di indignazione. Penso che questo sia il primo passo e poi dire alle persone cosa fare a riguardo può essere il secondo passo.
Chalabi disegna a mano le sue visualizzazioni perché i grafici prodotti dai software ci danno l’illusione che la rappresentazione di quei dati sia rigorosa e inattaccabile, e in più non tollera di ridurre l’esperienza umana che sta dietro ai dati dentro semplici colonne o righe in un piano cartesiano.
"Il mio lavoro nasconde o eleva il lato umano dei dati?" chiede uno dei principi del data feminism.
Avevo dedicato un’intera puntata della newsletter al binarismo razionalità vs emozione, una delle più lette di sempre.
Si può fare giornalismo con l’empatia, con l’intenzione di far sentire le persone di cui si parla viste e comprese, e con l’interesse di mettere lettori e lettrici nelle condizioni ideali di capire e avere il desiderio di approfondire o agire a riguardo? Secondo me il giornalismo è questo. Anche quello che usa i dati. Non a caso ho cominciato la newsletter citando un libro di un autore di cui ho letto tutto tra i 15 e i 25 anni, e che ha formato il mio modo di vedere questo mestiere: Ryszard Kapuściński, giornalista nato in Bielorussia nel 1932 e autore di reportage dall’Iran, dall’India, dall’Etiopia e testimone di 27 colpi di stato e rivoluzioni, che era completamente immerso nella realtà di cui scriveva. Forse troppo, hanno detto alcuni suoi detrattori.
Ma si può fare questo lavoro senza essere coinvoltə?
Venerdì scorso durante la lezione per lə studenti del corso di Data visualization a Iulm ho invitato Paolo Bovio, responsabile di Instagram per Will Media. Per una testata che ha fatto del suo canale IG il principale veicolo di pubblicazione dei propri contenuti esserne a capo vuol dire gestire tutto il lavoro editoriale di produzione e visualizzazione delle notizie. E che i dati fossero al centro del modo di rappresentare le news si percepiva anche senza dichiarazioni ufficiali.
Credits immagine: Slide di Paolo Bovio (Head of Instagram, Will Media)
Bovio venerdì ce l’ha confermato, raccontandoci però anche che la missione di Will è dichiaratamente quella di produrre contenuti
d’impatto
su temi, tra gli altri, come la lotta alle disuguaglianze, il cambiamento climatico
per cui chi legge si possa sentire anche “committed”, coinvolto.
I dati, a Will, sono embedded nelle decisioni editoriali: ai redattori e alle redattrici viene chiesto di portare idee per notizie che abbiano i dati alla base, con una fonte affidabile. Vorrei parlare dell’inquinamento, della violenza sulle donne, degli spazi verdi in Italia. Ok, ci sono dati a riguardo?
Non sempre i post e i grafici funzionano, e Bovio a lezione ci mostra anche i più criticati, ma rispetto al giornalismo mainstream il dialogo con la community è parte della mission.
Credits immagine: Slide di Paolo Bovio (Head of Instagram, Will Media)
Mi chiedo quanto sia importante però per chi fa giornalismo dei dati in Italia coinvolgere le persone e il pubblico anche in un aspetto non secondario di questo lavoro: la difficoltà di trovare dati in formato aperto, su temi di interesse pubblico.
Ieri con la classe di giornalismo della Scuola del Libro abbiamo visto in real time quanto ci si mette a scaricare un pdf con una tabella dal sito del ministero dell’interno per trasformarla in un csv leggibile e poter produrre qualche analisi. Mezz’ora. Per 1 foglio. Immagina quando ne devi lavorare 300, come mi è capitato di fare ultimamente.
Anche l’assenza dei dati è una notizia, dico ai corsi, ma la stiamo raccontando abbastanza? Vado a riguardare le viz di Mona Chalabi e mi faccio venire qualche idea.
Questa newsletter è sostenuta da: Fight The Stroke
In questo box dedicato allo sponsor c’è una sorpresa: Fight The Stroke offre a chi legge la newsletter una mini lezione di data journalism… sul 5x1000!
Se dovessimo produrre un pezzo che parla di 5 per mille da dove si potrebbe partire? Dobbiamo farci delle domande a cui possiamo rispondere con i dati, per esempio:
quanti italiani compilano quella parte della dichiarazione?
quali organizzazioni ricevono più finanziamenti? a che categoria appartengono?
c’è un trend storico interessante da valutare?
Dove trovo i dati? Partiamo dalle fonti ufficiali. Io sono stata ottimista e ho proprio cercato “open data 5 per mille”. Il primo sito che compare è quello del ministero del lavoro. Sembra che non ci sia niente di interessante, ma nella colonna di destra sono presenti tutti i beneficiari dell’ultimo anno disponibile, il 2021.
Potrei anche cercare di nuovo altre chiavi di ricerca, come per esempio “beneficiari 5 per mille” e troverei le pagine dell’agenzia delle entrate.
Mi mancano i dati per rispondere alla prima domanda, così provo a sperimentare con Perplexity, un’AI / motore di ricerca che fornisce risultati con linguaggio naturale come ChatGpt ma inserendo i link delle sue fonti. In effetti ho trovato un’informazione che mi mancava:
Hai tutto quello che ti serve? Bene, prepara la storia.
Anzi, se lo fai davvero scrivimi!
Intanto vai a vedere i progetti di Fight The Stroke che puoi sostenere con il tuo 5x1000:
La dataviz della settimana
Non poteva che essere quella con cui Mona Chalabi ha vinto il Pulitzer. Cioè come visualizzare la ricchezza di Jeff Bezos in 9 modi diversi (questo è il secondo), sul New York Times:
Il tour di maggio continua
Il 18 maggio alle 20:30 mi trovi a Milano sul palco di Stand up for Girls!, evento annuale dell’ong Terre des Hommes, con entrata gratuita, insieme a Sumaya Abdel Qader, Martina Castigliani, Pegah Moshir Pour, Mariangela Pira e altre super speaker. Prenotazioni qui.
Il 21 maggio al Salone del Libro di Torino presento il libro “Ciclo” pubblicato da Quinto Quarto editore con l’autrice Natalie Byrne e con l’attivista e attrice Chiara Becchimanzi.
Il 22 maggio sempre al Salone c’è un laboratorio per le scuole sul mio libro “Dentro l’algoritmo” (effequ), ma bisogna prenotarsi.
Il 27 maggio sono a Trieste per il festival di Parole Ostili.
Il 29 maggio tengo una keynote alla International Visual Methods Conference che si tiene all’università Sapienza di Roma.
Il 31 maggio presento Ti Spiego il Dato al Festival Je T'aime a Padova.
Bene, ci sentiamo mercoledì prossimo!
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