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A luglio e agosto qui ci scrivono tre ospiti che secondo me hanno cose interessanti da dire in tema dati e tecnologia, sempre con un approccio femminista intersezionale. L’ho fatto anche l’anno scorso e prendermi una piccola pausa da questo appuntamento settimanale di cui non ho saltato un numero dallo scorso settembre è stato rigenerante. Oggi comincia Josephine Condemi.
Eccomi. Sono Josephine, nata il mese prima di Italia ’90 sulla punta dello Stivale, dove continuo a vivere imperterrita e a traghettare da una sponda all’altra dello Stretto. Un po’ continentale un po’ isolana, son cresciuta tra la Magna Grecia e la Fata Morgana, dove i miti e i miraggi si impastano alle verità prima che la faglia sotto il mare si svegli e tutto venga nuovamente scosso e rimescolato. Ho cercato strumenti, per distinguere e capire, ho iniziato a leggere e scrivere e non ho più smesso.
Sono quindi giornalista: ho unito le passioni per la divulgazione scientifica e per le questioni sociali occupandomi di tecnologia e sostenibilità.
Attualmente collaboro con Nòva-Il Sole 24 Ore, Valori e Vita. L’antico amore per la filosofia è sfociato nel percorso di dottorato in scienze umanistiche (curriculum filosofico), iniziato da ottobre '22 all’università di Messina con un progetto sulla sostenibilità del Metaverso in relazione ai corpi umani. In fondo, credo di essere un’umanista: mi interessano le persone, le culture, la promozione di libertà e diritti. Mi impegno per questo nel consiglio direttivo di Action Aid Italia e rappresento l’organizzazione all’assemblea della federazione internazionale.
Ripartiamo dai corpi (vulnerabili)?
Ciao a te. A te che leggerai dopo che io avrò finito di scrivere. La tecnologia principale che stiamo usando, la scrittura, funziona così. Tu non vedi il mio corpo e io non vedo il tuo. È il prezzo da pagare per una maggiore diffusione dei nostri messaggi nello spazio-tempo. La scrittura fa scomparire i corpi materiali per farli riapparire, talvolta, altrove, in una rappresentazione codificata e decodificata a partire dalle parole. Una rappresentazione che prende significati diversi a seconda delle esperienze e delle culture, ma che passa sempre dai corpi.
Che rapporto hai con il tuo corpo?
No, non solo con la sua rappresentazione (e quindi la tua immagine), con le foto che condividi sui social, con il gemello digitale composto dai dati che lasciamo online ogni giorno e che presto sarà riunito in un avatar 3D con una faccia che in qualche modo ci assomiglia. Non intendo il tuo corpo nello e sullo schermo. Intendo il tuo corpo che mangia, che dorme, che duole, che fa sesso, che si muove, che desidera, che lotta, che è nato, cresce, nei casi migliori si evolve, che si rigenera continuamente e che piano piano si consuma. Quel corpo che sei tu, intendo.
Se ti senti a disagio, benvenutə nel club occidentale.
Per secoli, abbiamo costruito la nostra cultura svalutando il corpo: fosse l’anima (Platone) o la mente/ragione (Cartesio), il polo immateriale contrapposto al corpo è sempre stato considerato la sede del “vero sapere” e del “vero sé”. La razionalità non prevedeva l’uso dei sensi (ingannatori per eccellenza): si sarebbe sviluppata quanto più avrebbe saputo distaccarsi dalla natura “animale” di appetiti e desideri che la “incatenavano”. Quanto più, insomma, si fosse dissociata dal proprio corpo. Segui le tracce di questo modo di pensare se identifichi la ragione (o l’intelligenza) con il cervello, organo “nobile” che ospita (e per alcuni coincide con) la mente.
Resto del corpo: non pervenuto.
Quale immagine ti viene in mente se pensi a una razionalità pura?
Una razionalità “fredda”, calcolatrice, a zero emotività, superefficiente rispetto agli obiettivi stabiliti, dis-incarnata proprio nel senso di “senza corpo”, ammantata dell’oggettività che deriva dal numero? Una volta avremmo detto una macchina elettronica, ovvero un computer, oggi, in un accostamento ancora più calzante, una Intelligenza Artificiale.
L’equivalenza reti neurali cerebrali – reti neurali artificiali è in qualche modo l’erede del sogno antico di far “scomparire i corpi” per far trionfare una razionalità “oggettiva” (leggi: uguale per tuttə) che oggi prende la forma della datificazione, la tendenza a trasformare ogni aspetto della vita sociale in dati, per misurarlo e controllarlo in relazione ad uno standard, non sempre condiviso. E poi certo, aumenta l’ansia da prestazione, perché se il modello è la macchina ottimizzata, che deve produrre-produrre e performare-performare, per non essere sostituita da un’altra più funzionale agli obiettivi (di chi? per chi?), una persona assomma disagi vecchi e nuovi. Che il corpo spesso esprime, spesso inascoltato: “i sensi ingannano” colpisce ancora.
Il corpo conta: l’embodied cognition
Finalmente, tra gli anni Ottanta e Novanta, la scoperta dei neuroni-specchio da parte di un gruppo di ricercatori dell’Università di Parma (tra cui Giacomo Rizzolatti e Vittorio Gallese) ha certificato in modo scientifico quello che in qualche modo tutti sapevamo, cioè che non esistano “cervelli in una vasca” ma che sia l’intero sistema mente-corpo a conoscere.
I neuroni-specchio sono neuroni motori che si attivano sia quando eseguiamo un movimento finalizzato a un obiettivo, sia quando lo vediamo fare ad altri (simulazione incarnata). Lo spazio intorno al nostro corpo è mappato in relazione all’integrazione dei cinque sensi e ai movimenti possibili. Ne derivano due conseguenze importanti: la prima è che senza il corpo in movimento non c’è cognizione; la seconda è che l’intercorporeità, cioè il fatto di avere lo stesso corpo, è la prima forma di comprensione degli altri. Non a caso, oggi si parla di “Embodied Cognition”, cognizione incarnata: conosciamo dal, per, grazie al nostro corpo, quindi sempre in “situazione” e in “relazione”, emozioni incluse (ricordi quanto il rapporto emotivo con quell’insegnante abbia inciso sul tuo apprendimento?). Ed è a partire dalle situazioni e dalle relazioni che attribuiamo significati e diamo senso a quello che ci succede.
Oltre i neuroni c’è di più: la differenza tra una IA e la cognizione umana
Non siamo solo i nostri neuroni: chi equipara la cognizione umana a quella di una IA, trascura la differenza fondamentale tra sistemi viventi e macchine artificiali. Noi possiamo rigenerarci, riprodurci, “leggere dentro” le situazioni, evolverci a partire dall’errore, imparare dall’esperienza. Al contrario, le macchine artificiali hanno i pezzi, la costruzione, il programma sempre forniti dall’esterno. Da tempo, tuttavia, chiamiamo ogni errore fallimento e riusciamo sempre meno a trasformare l’imprevisto in opportunità: ci stiamo già robotizzando?
Al codice alfabetico si è aggiunto quello informatico: stringhe di zero e uno che, ancora una volta, smaterializzano corpi e oggetti per trasportarne l’immagine altrove. Nel 1972, il primo torneo interuniversitario del primo videogioco, “SpaceWar” venne descritto su “Rolling Stone” come un’esperienza extracorporea (simile all’LSD) per i giocatori impegnati a sfidarsi. Il cyberspazio immaginato da Gibson nel romanzo “Neuromante” (1984, ha ispirato “Matrix”) era “un’allucinazione consensuale” che consentiva di andare oltre i limiti del proprio corpo. Un “andare oltre” che oggi, nelle dottrine transumaniste (More, Bostrom), prende la forma di un abbraccio tecnologico progressivo che, attraverso l’eugenetica e la nanotecnologia molecolare, porti ad una specie “transumana” in grado di definire mezzi e fini della propria evoluzione. Niente dolore, niente morte: in fondo è (da sempre) tutto qui.
Ascoltare il corpo, alleare i corpi
E se ripartissimo invece proprio dai corpi vulnerabili (Butler)? Comincia a farci caso. A partire dal tuo e da quelli che ti stanno intorno. Cercare i corpi, prima, dentro, dietro e dopo i dati, significa cercare le persone. Non esseri bionici, intoccabili e ottimizzati. Esseri vulnerabili, che esponendosi possono essere feriti ma anche entrare in contatto profondo gli uni verso gli altri. Dove sono? Come sono? I nostri corpi raccontano tutto ciò che è irriducibile ai codici alfabetico e digitale. Nonostante tutti i tentativi di farli sparire, resistono. Proviamo ad ascoltarli? Ad ascoltarci? In questo il femminismo ha molto da insegnarci.
Ciao a te, è un’umana che ti ha scritto. Grazie di aver letto fin qui e buona estate.
Factfulness al Data Book Club
Oggi 12 luglio alle 21 ci troviamo con il gruppo di lettura per discutere di Factfulness, libro-tesoro di Hans Rosling, per capire se post-covid e post-AI sia invecchiato bene oppure no. La mindfulness dei dati ha ancora senso così come l’ha raccontata il medico e statistico svedese? Ce lo raccontiamo stasera.
Restate all’ombra
Il primo numero della Summer edition 2023 si chiude qui. Mentre rileggevo il pezzo di Josephine mi è tornato in mente un brano (poesia?) di Paul Auster che
ci ha letto durante il suo corso di scrittura creativa (tra i migliori che possiate frequentare). È dentro Diario d’Inverno, traduzione di Massimo Bocchiola (Einaudi).Io ho ancora una trasferta, ad Amsterdam, per parlare di dati e discriminazioni a un Marketing Executive Summit sull’AI organizzato da Luiss e Digital Angels.
Le temperature sono alte, non uscite di casa, provate a seguire i consigli di Jia Tolentino per superare l’ansia climatica e se avete lunghi viaggi in macchina tra i podcast da aggiungere alla playlist c’è anche Dati alla Mano di Istat.
Ci risentiamo a fine mese, con la prossima ospite.
Grazie!
Donata e Josephine
Bellissima puntata, è un tema che sento molto vicino quello dei corpi incisi e da decifrare. Ci avevo fatto anche la tesi di laurea sui corpi in metamorfosi.
grazie per quello che scrivi, sto molto bene dopo averti letto, e soprattutto divento ricca di spunti e curiosità
Buona estate.
Anna