"Ma le suore, lavorano?"
Il gender gap nella chiesa cattolica spiegato dai dati. (Una pausa da Trump, dai)
In questo numero: come scrive l’autrice ospite della newsletter di oggi, quando pensiamo alla chiesa cattolica pensiamo ai maschi. L’all male panel per eccellenza è il conclave, forse, ma piene di uomini sono le foto sui giornali che riguardano le alte sfere del Vaticano, e solo alcuni recenti cambiamenti introdotti da papa Francesco fanno sperare in un minimo cambio di rotta.
Perché mi interessa questo tema e perché ne scrive
? Well, vi svelo una cosa: sono figlia di un diacono1. Ma soprattutto ho passato molto tempo in oratorio, negli scout, in parrocchia, e tutto quello che mi è sembrato “normale” per anni - la preponderante presenza maschile nei ruoli di potere e l’enorme lavoro di cura nelle mani delle donne - mi si è rivelato in tutta la sua ipocrisia incontrando il femminismo. Sono stata fortunata, e la chiesa che ho conosciuto io mi ha aperto gli sguardi, invece, di chiuderli, probabilmente anche perché la mia famiglia è sempre stata impegnata in politica, tra accoglienza alle persone migranti e interesse espresso in vario modo alle disuguaglianze sociali. E quando ho proposto il pezzo a Elisa, che seguo da tempo, e lei mi ha detto che capitava proprio nel momento giusto, perché per la prima volta un’organizzazione cattolica degli Stati Uniti ha indetto uno sciopero globale delle donne durante la prossima quaresima, be’, non potevamo non pubblicarlo qui, perché dati sul lavoro di cura delle donne della chiesa, suore e laiche, ne abbiamo pochissimi. E un gap dei dati da queste parti è sempre fonte di notizia.A proposito di gender gap, vi segnalo che ho scritto per Valore D un lungo pezzo ricco di dati sulle disuguaglianze di genere nel nostro paese, pieno di fonti utili, se lavorate sul tema.
Dove ci vediamo in giro
Oggi a Torino, 5 febbraio: alle 20:45 parlo del mio libro Quando i dati discriminano nella rassegna Apertamente dell’Istituto superiore Agnelli di Torino.
Camerino, 13 febbraio: tengo un talk all’università di Camerino nell’ambito del programma “Le competenze trasversali nella scienza”. Tema, l’etica dei dati.
Santarcangelo di Romagna, 28 febbraio: alle 20:30 presento Quando i dati discriminano alla biblioteca comunale Baldini, per la rassegna “Letture Liminali”.
Lucca, 6 marzo: presentazione del libro a Lucca, nella rassegna “Voci di Biblioteca”.
Online, 21 marzo: in pausa pranzo sono ospite dei Gender Lunch Seminar organizzati dall’università San Raffaele, parlo di femminismo dei dati.
🗞️ [angolo SkyTg24] Non solo Palantir: ho scritto di tutto l’arsenale tecnologico a disposizione di Donald Trump per sorvegliare ed espellere i migranti, chiedendo un commento alla giornalista d’inchiesta Laura Carrer, che si occupa di questo tema per l’Europa:
Quando si tratta di espulsioni di massa, monitorarle digitalmente risulta molto più semplice ed economico rispetto alla loro detenzione in carcere. La politica di Trump, che prevede la deportazione di milioni di immigrati, implicherebbe costi elevati per il mantenimento dei detenuti. Ma l’alternativa digitale, come l’uso di braccialetti elettronici, riduce questi costi e si rivela utile anche per la sua propaganda.
Sei tra le 10145 persone che leggono la newsletter. Ehi, c’è lo sconto fino a marzo per avere un’edizione in più al mese e per leggere quali tool, dataviz e strumenti ha scelto la nostra
per questo numero:Ho ancora una curiosità: prima di leggere di Palantir Technologies e Peter Thiel nella newsletter precedente, conoscevi questa azienda e il suo co-fondatore?
Intanto ti ricordo che se coinvolgermi in un evento puoi scrivere a contact-columbro@elastica.eu.
Per promuovere il prodotto della tua azienda, un evento o un corso in questi spazi scrivi a newsletter@tispiegoildato.it, rispondo io oppure Roberta. Qui tutte le condizioni.
“Nella nostra società, la pratica femminista è il solo movimento per la giustizia sociale che produce condizioni favorevoli alla mutualità”.
― Il femminismo è per tutti, bell hooks (Tamu ed. 2021)
Il gender gap nella chiesa cattolica spiegato dai dati - di
E se le donne sparissero improvvisamente da tutte le attività in cui sono coinvolte nella chiesa cattolica? Dalla chiesa? Non è solo una provocazione, ma la domanda da cui è partita la Women’s Ordination Conference, un'organizzazione statunitense che lavora per l'ordinazione di donne come diaconi, sacerdoti e vescovi nella chiesa cattolica, per organizzare il Catholic Women Strike, un invito alle donne cattoliche di tutto il mondo a sottrarre tempo, lavoro e risorse economiche alla chiesa durante la Quaresima 2025 (5 marzo-17 aprile). Uno sciopero globale che chiede alle donne di fermarsi o di modificare la propria presenza perché
“conduciamo e coordiniamo la stragrande maggioranza dei ministeri parrocchiali in tutto il mondo e serviamo come diaconesse e preti in tutto tranne che nel nome, nei luoghi dove i preti scarseggiano. Senza la nostra presenza, lavori vitali rimarrebbero incompiuti e i banchi delle chiese vuoti”.
Un lavoro invisibile anche perché spesso non misurato
Quando si parla di chiesa cattolica, probabilmente immaginiamo solo volti e nomi maschili. Sono uomini infatti tutti i leader religiosi. Non solo il papa, i preti, i vescovi, ma spesso anche gli influencer cristiani e chi fa parte delle rock christian band.
Sono principalmente uomini anche i personaggi della Bibbia. La ricercatrice Erin Kane ha contato solo 600 personaggi femminili nelle Scritture, se consideriamo quelle citate come madri, mogli o figlie di qualcun altro (apocrifi compresi). Se invece consideriamo solo quelle chiamate per nome, ne contiamo 188 (205 con gli apocrifi). Le donne nella Bibbia sono quindi solo il 14,8% del totale, perché i personaggi maschili sono 1181.
Eppure, nonostante il molto spazio che gli uomini ricoprono nelle istituzioni e nel testo sacro, la religione resta una questione che tocca molte più donne che uomini.
La religione è una questione femminile
Nel 2016 il Pew Research Center ha condotto uno studio sul divario di genere nelle religioni e i dati dicono che tra chi ha almeno 20 anni, l'83,4% delle donne e il 79,9% degli uomini in 192 paesi e territori sono affiliati a una religione. Le donne sono più religiose degli uomini in tutte le società, culture e fedi e, in parallelo, l’ateismo è più diffuso nella componente maschile della popolazione.
La religione in generale e quella cristiana in particolare sono praticate soprattutto dalle donne e l’Italia si colloca addirittura sopra la media internazionale. Perché la spiritualità è un’esperienza così vicina alla componente femminile della società?

Questo dato viene spiegato dai politologi Pippa Norris e Ronald Inglehart, che lo leggono in connessione alla “sicurezza esistenziale”. Le donne spesso darebbero maggiore priorità alla religione perché di solito sperimentano meno sicurezza nelle loro vite, essendo più esposte degli uomini a povertà, problemi di salute, vecchiaia e vulnerabilità fisica. In questo contesto la religione fornirebbe un maggiore senso di sicurezza e benessere2.
Il gender gap nella chiesa esiste, ma solo nelle posizioni di potere
Non solo le donne vivono spesso la loro esperienza di fede come un aspetto centrale, ma sono anche numericamente molto presenti nella chiesa.
E che cosa fanno?
L’Agenzia Fides ha raccolto nel 2023 i dati sulla diffusione dell’istituzione cattolica nel mondo:
5.340 vescovi
407872 presbiteri
49176 diaconi permanenti
49774 religiosi non presbiteri (frati, monaci, etc.)
e, infine, 608958 religiose, che da sole sono più di tutti gli uomini appena citati (512162).
La chiesa però non è formata solo dall’istituzione, anzi. La giornalista Gudrun Sailer, in un articolo del 2023 per Vatican News, ricostruisce quante sono le donne che hanno un lavoro salariato in Vaticano. Durante il primo decennio del pontificato di papa Francesco, le dipendenti vaticane sono passate da 846 a 1165, arrivando a ricoprire il 23,4% della forza lavoro.
Raramente però le donne hanno raggiunto i livelli dirigenziali, le troviamo al massimo come sottosegretarie di un dicastero. La prima segretaria (suor Alessandra Smerilli) è stata nominata nel 2021 e a inizio 2025 suor Simona Brambilla è diventata la prima prefetta, alla direzione del Dicastero per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica.
Il lavoro di cura
Le donne ci sono nella chiesa cattolica, quindi, ma sono poche quelle con ruoli apicali e di responsabilità. La maggior parte delle loro mansioni non è salariata. Sono le donne infatti a pulire le chiese, le stanze dell’oratorio, le case dei preti, a servire al bar della parrocchia, a cucinare durante le feste, a leggere in chiesa durante le funzioni, a lavorare dietro le quinte in sagrestia.
Soprattutto sono le donne a fare le catechiste. Nel 2021 l’Istituto di catechetica dell’Università Pontificia Salesiana di Roma ha rilevato che il 76% di chi insegna catechismo sono donne, hanno in media 50 anni e fanno le catechiste da più di 12 anni. La percentuale di catechisti (uomini) è maggioritaria solo nelle fasce d’età più giovani: tra i 21 e i 30 anni sono il 13,9% (le donne il 5,1%) e tra i 31 e i 40 anni il 14,6% (le donne il 9,2%).
Maria Elisabetta Gandolfi nel 2020, attingendo ai documenti della CEI, ha notato che, nonostante il gran numero di catechiste, su 225 diocesi sono solo 14 le donne alla direzione di un ufficio catechistico diocesano. A queste “sono da aggiungere una coppia (marito e moglie) di co-direttori e sei vice direttrici: in totale, percentualmente parlando, siamo a un 10% scarso su tutte le diocesi”.
Se dalle parrocchie ci spostiamo agli uffici - che chiaramente hanno un impatto e portano con sé un prestigio maggiore - notiamo numeri molto bassi anche in altri campi. Gandolfi riporta che 24 uffici missionari sono gestiti da direttori e 18 da direttrici, 82 sono gli economi e 13 le econome.
Nonostante la presenza femminile sia non solo più sentita, ma anche numericamente maggioritaria, le donne rimangono escluse dalle posizioni apicali e dal ministero ordinato. La maggior parte delle mansioni che ricoprono sono associate alla sfera della cura e non sono un semplice volontariato, bensì un vero e proprio lavoro gratuito e non riconosciuto essenziale per la sopravvivenza delle parrocchie.
Il tema del lavoro ha un grosso rilievo perché, sulla base di dati del 1983 provenienti dall'Australia, i ricercatori David de Vaus e Ian McAllister mostrano che le lavoratrici a tempo pieno sono meno religiose delle donne che non lavorano, perché l’attività salariata fornisce benefici socio-psicologici altrimenti ottenuti dalla religione. Similmente il sociologo Landon Schnabel suggerisce che le lavoratrici sono meno religiose perché ricevono meno convalida sociale e affermazione dalle comunità spirituali rispetto alle donne che seguono ruoli e aspettative più tipici del genere.
Non c’è da stupirsi allora se, dato il gender gap e la possibilità di trovare un rafforzo identitario altrove, le donne si allontanano dalla chiesa. Tanto che, come si legge nel numero di settembre 2024 di Donne Chiesa Mondo, solo il 33% delle donne italiane sotto i 30 anni si dichiara cattolica, contro il doppio di dieci anni fa.
C’è da chiedersi quanto questi dati siano noti e presi seriamente da parrocchie e diocesi. Se le donne hanno il desiderio di vivere la fede in una chiesa diversa e sono così vitale - tanto che se le donne si fermano, le comunità si bloccano - perché non si agisce per farle restare?
Elisa Belotti è una giornalista freelance. Si occupa di diritti e comunità marginalizzate, anche dentro la chiesa cattolica. Ha fondato e conduce il podcast Cristianə a chi? insieme alla sociologa Paola Lazzarini e alla teologa Sandra Letizia. È autrice della newsletter Senza mulini e per La Revue ha pubblicato l’inchiesta "Niente da curare" sulle terapie di conversione e "La fede molesta" sugli abusi sulle religiose. Con Niente da curare ho vinto una menzione speciale del Premio Vergani 2024. Insegna lingua e letteratura italiana negli istituti superiori di primo e secondo grado.
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