Ti spiego il dato - ogni settimana

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Come si è parlato di Gaza sui media in questi due anni

Dati da due report che bisogna conoscere

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Donata Columbro
and
Roberta Cavaglià
Dec 10, 2025
∙ Paid

In questo numero: andiamo a vedere cosa dicono Framing Gaza, un’analisi di Tech for Palestine su più di 50mila articoli pubblicati da otto grandi testate occidentali tra il 2023 e il 2025, e Illuminare le periferie, il rapporto di Cospe e dell’Osservatorio di Pavia sulla copertura della guerra in Italia tra telegiornali e programmi di approfondimento.

Ciao 2025 sui treni!

  • Ultima data, il 13 dicembre a Roma: sono al festival del Pensare migrante di Baobab Experience.

Grazie a tutte le persone che in questi tre mesi sono venute ad ascoltarmi mentre raccontavo “Perché contare i femminicidi è un atto politico”, grazie a chi mi ha intervistata prendendosi il tempo di leggere tutto il libro, con tanta cura e attenzione, a chi ha organizzato serate prenotando sale, producendo materiale di comunicazione, mettendo al servizio volontari e volontarie: ora mi riposo, ma nel 2026 il tour riprende e sono felice di incontrare altre realtà che vogliono mettere in discussione il modo in cui si parla di violenza di genere e femminicidi in Italia. Scrivetemi a progetti@donatacolumbro.it per organizzare.

Qui l’ultima data a Genova, con Selena Pastorino

AH! IMPORTANTE! La nostra campagna Dati Bene Comune sui dati della violenza di genere, continua: aiutaci a raggiungere le 25mila firme!

Il 17 dicembre alle 13 puoi ascoltare in diretta me, Andrea Borruso di Ondata, Giuditta Bellosi di Period Think Tank parlare di quanto sia stato difficile avere alcuni dati dal ministero dell’interno e Simona Ammerata di D.i.Re - Donne in rete contro la violenza, raccontare che sono molto utili al lavoro dei centri antiviolenza. Su Instagram.

Sei tra le 13590 persone che leggono la newsletter. Nell’ultima puntata abbiamo parlato di cura femminista, del 25 novembre ma anche di dati che andavano raccontati:

Il 2025 è il primo anno in cui aumentano i paesi dove l’omosessualità è un crimine, e altre notizie

Il 2025 è il primo anno in cui aumentano i paesi dove l’omosessualità è un crimine, e altre notizie

Donata Columbro and Roberta Cavaglià
·
Dec 3
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Essere accusati di parlare troppo ad alta voce di un’ingiustizia e non di altre da qualcuno a cui non importa nulla di nessuna di esse significa semplicemente sentirsi dire di stare zitti.

Omar El Akkad, Un giorno tutti diranno di essere stati contro (Feltrinelli, 2025)

Come si è parlato di Gaza e di genocidio sui media italiani e internazionali

Due report, uno italiano, a cui ho contribuito, e uno internazionale, possono dirci come abbiamo raccontato Gaza sui media negli ultimi due anni. Un dato che emerge da entrambi è che Gaza è stata molto presente, ma raramente al centro del racconto.

Secondo l’analisi di Tech for Palestine su più di 50mila articoli pubblicati da otto grandi testate occidentali tra il 2023 e il 2025, “Israele” appare con molta più frequenza di Gaza o Palestina. Nel New York Times il rapporto è di 186 a 1 rispetto alla parola “Palestina”, nel Globe and Mail canadese è di 66 a 1. Anche in Europa le proporzioni restano a doppia cifra. Quando la parola Palestina compare, spesso non è per parlare dei palestinesi, ma delle proteste anti genocidio nelle piazze occidentali.

Parole come “occupazione”, “insediamenti illegali”, “blocco” sono quasi del tutto assenti. Der Spiegel usa l’aggettivo “occupata” solo due volte su oltre tremila riferimenti alla Cisgiordania e ai Territori palestinesi. E mentre il 7 ottobre viene citato incessantemente, il blocco del 2007, la condizione che da diciotto anni definisce ogni aspetto della vita a Gaza, non trova quasi spazio. Nel Corriere della Sera il rapporto tra le due narrazioni è di 215 a 1.

La cornice del terrorismo è onnipresente: su Le Monde riguarda il 69% degli articoli su Gaza, nella BBC il 66%. Nei mesi in cui l’ONU avvertiva del rischio di carestia nel nord della Striscia, le parole legate al terrorismo comparivano ancora più spesso delle parole legate alla fame. Intanto espressioni come “attacchi di precisione” circolavano con facilità - 68 volte nel New York Times, 34 alla BBC - anche mentre le testimonianze sul terreno e i dati delle vittime civili raccontavano tutt’altro. Lo stesso vale per “autodifesa”: 292 occorrenze in Der Spiegel, 243 nel New York Times, 173 nel Globe and Mail.

In Italia della guerra a Gaza parlano gli italiani, maschi

Per il report Illuminare le periferie, a cura di Cospe con l’analisi dell’Osservatorio di Pavia, mi sono occupata di analizzare l’aspetto critico di una presenza non marginale della guerra e del genocidio sui media, ma al tempo stesso parziale. Riporto qui degli estratti dal mio commento:

Un conflitto impossibile da ignorare: questo emerge dai dati dell’Osservatorio di Pavia sui programmi televisivi analizzati, per un totale di 3470 puntate di 102 programmi analizzati. Quasi la metà (48) hanno trattato, almeno una volta, la guerra a Gaza e l’allargamento del fronte nella regione.

Nei telegiornali, in modo specifico, solo nell’ottobre 2023, quando è avvenuto l’attacco di Hamas ed è stata immediata (e sproporzionata) la risposta israeliana, i minuti dedicati alla guerra a Gaza hanno superato quelli totali sugli esteri. I valori sono rimasti alti anche nel mese di novembre 2023, e poi sono tornati sopra il 30% a un anno dall’attacco di Hamas. Potrebbe essere indicativo dell’attenzione rivolta più alle vittime israeliane che a quelle palestinesi?

Nei programmi tv in cui si è parlato di Gaza sono spesso intervenuti ospiti esterni e l’analisi mostra una prevalenza di ospiti di cittadinanza italiana, mentre la prima presenza di stranieri è di origine israeliana. Le donne sono solo il 30% del totale. Anche in una guerra che coinvolge pesantemente le vite di donne e bambini, le esperte e le testimoni dirette continuano a essere sottorappresentate nel racconto pubblico.

Le persone direttamente coinvolte nel conflitto sono ampiamente marginalizzate nel racconto italiano. Se si guarda ai singoli network, la Rai è la più aperta: l’89% dei suoi ospiti è italiano, contro il 97% di La7 e Mediaset. Anche i programmi che danno più spazio al tema (come Tagadà, Agorà, Otto e mezzo, Presadiretta) faticano a portare voci straniere in studio.

Il racconto televisivo del conflitto è affidato in larga parte a giornalisti e cronisti (51% del tempo di parola), seguiti da esperti di geopolitica e analisti internazionali (20%) e da rappresentanti del mondo politico (13%). Chi sta in guerra non racconta la guerra, mancano infatti i testimoni diretti: ci sono persino ospiti dal mondo dell’arte e della cultura, prima di trovare qualcuno delle Nazioni Unite o delle organizzazioni non governative.

La guerra a Gaza è stata raccontata, ma non ascoltata, almeno così sembrano mostrare questi dati. È entrata nei telegiornali, nei talk show e nei programmi di approfondimento, ma senza le voci di chi quella guerra la vive. Le telecamere si sono fermate ai confini. E questa rappresentazione parziale non è neutra.

Ne avevamo già parlato, ricordate?

Come si racconta bene Gaza con dati e grafici

Donata Columbro and Roberta Cavaglià
·
May 14
Come si racconta bene Gaza con dati e grafici

In questo numero: i dati e le visualizzazioni non sono neutri. Sono strumenti di rappresentazioni della realtà che riflettono le scelte di chi li produce, da quali dati analizzare a come descriverli e comunicarli. In questi mesi il racconto datificato

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