tw razzismo, schiavitù, brutalità, n word
We repeat it, every man knows that slavery is a curse. (…) Two millions seven hundred thousand persons in these States are in this condition. They were made slaves and are held such by force, and by being put in fear, and this for no crime! Reader, what have you to say of such treatment? Is it right, just, benevolent?
(mia trad) Lo ripetiamo, ogni uomo sa che la schiavitù è una maledizione. (…) Due milioni settecento mila persone in questo paese [gli Stati Uniti] sono in questa condizione. Fatti schiavi, trattenuti con la forza e minacciati, e per nessun crimine commesso. Tu che leggi, cos’hai da dire di questo trattamento? È appropriato, giusto, benevole?
La citazione arriva dal libro American Slavery As It Is: Testimony of a Thousand Witnesses, consultabile qui, pubblicato nel 1839 dall'American Anti-Slavery Society, un gruppo abolizionista che cercava di porre fine alla schiavitù negli Stati Uniti. L’opera è stata curata da Sarah Grimké e dalla sorella Angelina con il marito Theodore Dwight Weld, ed è una raccolta di testimonianze sulla schiavitù da parte di persone che la subirono o furono testimoni di abusi. In quegli anni negli Stati Uniti la pratica della schiavitù era alla base del sistema economico e produttivo del paese. Nel 1815 le persone schiave erano 1,5 milioni, quasi 3 milioni negli anni 40’ fino ad arrivare a 4 milioni nel 1860.
Il libro aveva lo scopo di fornire resoconti grafici e dettagliati delle brutalità e delle atrocità della schiavitù, al fine di convincere il pubblico statunitense della necessità della sua abolizione. Include lettere, discorsi e articoli di giornale che descrivono le condizioni di schiavitù così come esistevano negli Stati Uniti all'epoca, nonché resoconti di specifici episodi di abusi e crudeltà.
L’American Anti-Slavery Society, nata nel 1833, in quegli anni organizzava incontri di sensibilizzazione, portando in giro testimonianze e facendo appello alla compassione del pubblico. Ne fanno parte anche le sorelle Sarah e Angelina Grimké, nate in una famiglia di proprietari di schiavi nella Carolina del Sud, che da subito però rifiutano quello stile di vita per diventare ferventi abolizioniste.
Ma girare il paese e fare grandi discorsi contro la pratica inumana della schiavitù non basta. Servono “i fatti, I FATTI” come scrive Angelina Grimké in una lettera accalorata alla sorella Anna, perché sono quelli che “hanno messo in moto tutta quella macchina che in Inghilterra ha liberato gli schiavi nelle Indie occidentali britanniche e ha rivolto l'Inghilterra contro il cotone coltivato da schiavi”.
Nell’introduzione al libro American Slavery As It Is: Testimony of a Thousand Witnesses, di cui ho messo qui sopra alcune citazioni, le autrici si rivolgono ai lettori e alle lettrici senza paura, senza timore di risultare eccessive, con l’urgenza di chi non riesce a sopportare un’ingiustizia come quella della legalità della schiavitù - e le brutalità annesse - in un paese che si definisce democratico. Quasi come declamassero un’arringa di fronte a una giuria in tribunale, promettono, persino in maiuscolo, che dimostreranno con i fatti che la schiavitù è orrore, nient’altro che questo. Con migliaia di testimonianze, ma anche con i dati.
Quali? Quelli raccolti tramite questionari compilati dagli schiavi ma anche quelli costruiti tramite la raccolta di inserzioni pubblicate sui giornali in cui i padroni degli schiavi vendevano mettevano in vendita le proprie “merci umane” oppure con gli avvisi e la promessa di ricompensa per recuperare di schiavi fuggiti:
Un pezzo di carta, un ritaglio di giornale, da solo non vale nulla. Dentro un archivio di migliaia di pezzi di carta diventa una testimonianza incofutabile, e forse mai osservata prima con quello sguardo.
Nel suo saggio “facts and FACTS”: Abolitionists' Database Innovations, dove sono venuta a conoscenza di questa storia, la storica Ellen Gruber Garvey mette in evidenza come l’uso di questi documenti sia stato eccezionale da parte delle sorelle Grimké e di Weld, perché nell’operazione di estrapolare dal suo contesto un documento (l’annuncio di ricompensa per lo schiavo fuggito) si crea un dato nuovo ma inconfutabile:
They shifted from a strategy that treated these ads as anecdotes or vignettes to one that reinterpreted them as the containers of data about the brutality of slavery. The marks, scars, and shackles that slaveholders noted as a means of identifying individual runaways became the individual, incremental indictments of slavery that might be systematically collected and analyzed. The ads were abstracted, their information pried loose and accumulated, aggregated en masse.
(mia trad) [gli attivisti] Sono passati da una strategia che trattava questi annunci come aneddoti o vignette a una che li reinterpretava come contenitori di dati sulla brutalità della schiavitù. I segni, le cicatrici e le catene che i proprietari di schiavi annotavano come mezzo per identificare i singoli fuggiaschi divennero le accuse individuali e incrementali della schiavitù che potevano essere sistematicamente raccolte e analizzate. Gli annunci sono stati separati dal loro contesto, le informazioni sono state setacciate e accumulate, aggregate in massa.
dal saggio “facts and FACTS”: Abolitionists' Database Innovations contenuto in Raw Data Is an Oxymoron (p.91). MIT Press.
E il ruolo di questo libro nel cambiamento delle opinioni dei cittadini riguardo alla schiavitù è ampiamento documentato, considerata anche la cifra delle copie vendute, 100mila, solo nel primo anno di pubblicazione.
Un cambio di strategia, un’intuizione creativa di raccolta dati che vale quanto un corso intero di data activism.
La dataviz della settimana
È la Migrant Worker Death Map, una rappresentazione geografica dei lavoratori migranti morti a Singapore secondo quanto riportato dai media negli ultimi due decenni (1 gennaio 2000-3 agosto 2022). Un approccio intersezionale ai dati che riguardano i morti sul lavoro che non avevo mai visto altrove. Grazie a Giulio Quaggiotto per la segnalazione.
Sul sito non c’è solo la mappa, ma la possibilità di cercare il nome di ogni singola persona su un database, leggere le analisi sui dati aggregati in base all’età, al sesso e alla provenienza, e ci sono approfondimenti specifici sulla salute mentale dei lavoratori e delle lavoratrici migranti, sugli abusi subiti, il tipo di incidenti, la metodologia di raccolta dati e anche una sezione di richieste che vengono fatte alle autorità per evitare il ripetersi di queste morti.
Link di cose scritte in giro
Su Indiscreto Rivista c’è un intero, lungo brano di “Dentro l’algoritmo”, uno dei miei preferiti. Così potete leggerlo prima di comprare il libro intero :)
Ho consigliato 5 link “che non pensavi di voler cliccare” per la newsletter di Una Cosa Al Giorno, dal sito per scoprire l’arte digitale africana alle migliori domande da fare a ChatGPT.
Su La Stampa racconto perché il potere è in mano agli uomini, grazie ai dati raccolti da Openpolis, onData e Infonodes.
A proposito di data activism e temi scomodi, sono stata ospite di una puntata del podcast prodotto dall’associazione Meti, che lotta contro gli abusi dell’infanzia, scritto da Francesca Svanera e Gabriele Rosato. Discutiamo del fatto che le notizie spiegate con i dati sono anche più credibili, e quindi le comunità marginalizzate sono penalizzate pure dall'assenza di dati. Si ascolta su tutte le piattaforme, metto qui il link Spotify.
Dentro l’Algoritmo tour
ROMA. Martedì 17 gennaio alle 19:30 presento il libro al circolo arci Sparwasser insieme alla super Diletta Huyskes, responsabile advocacy di Privacy Network.
RADIO. Sabato 14 gennaio alle 9:40 mi sentirete parlare di algoritmi a Prendila così, la trasmissione di Diletta Parlangeli e Saverio Raimondo.
PERUGIA. Il 20 gennaio sono alla libreria POPUP di Perugia per presentare il libro insieme alla data journalist Sonia Montegiove.
MILANO. Il 24 gennaio alle 19:30 la presentazione si tiene alla libreria Anarres.
Poi arriverà la data di Torino (7 marzo), forse di nuovo Milano, Sirmione (10 marzo) e chissà quale altro bel posticino :)
Intanto il libro se ne va in giro per conto suo insieme al “fratello”:
Grazie di aver letto fino a qui, ci leggiamo mercoledì prossimo!
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