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È la seconda puntata con un’ospite alla tastiera: qui una scienziata dei dati che risponde al nome di Paola Chiara Masuzzo si prende i suoi spazi per una riflessione che apparentemente non ha nulla a che vedere con dati, digitale e tecnologia, e invece apre mille interrogativi. Almeno, io non smetto di pensarci da quando ho letto la bozza. E probabilmente torneremo a parlarne in modo corale in autunno.
Buona lettura!
Ciao!
Sono Paola Chiara, per amicə Paola. Siciliana emigrata in Belgio, mi occupo di dati e scienza aperta. Lavoro nel privato e sono una ricercatrice indipendente presso IGDORE, e socia onData. Mi interessano tante cose, e penso di essere una portatrice sana di domande. Leggo molto, scrivo molto meno. Colleziono papere e mi piacciono i pinguini.
Se la risposta è io, la domanda qual è?
Chi sono io? - questa X, questa intersezione, l’elemento qualsiasi di una rete.
Michel Serres, Il mancino zoppo. Dal metodo non nasce niente (Bollati Boringhieri, 2015)
Nel suo romanzo “Eccomi” (Here I am), Jonathan Safran Foer racconta di un rituale che si svolgeva spesso in famiglia dopo cena:
Chiudevano gli occhi e camminavano per casa. Andava bene parlare, fare gli sciocchi, ridere, ma la loro cecità sfociava sempre nel silenzio. Nel corso del tempo avevano sviluppato una resistenza al buio silenzioso che poteva durare fino a dieci minuti, poi anche venti. Si ritrovavano al tavolo della cucina e a quel punto aprivano gli occhi tutti insieme. Ogni volta era rivelatorio.
Che cosa rivelava questo rituale alle persone che ne prendevano parte? Probabilmente bisognerebbe ripetere l’esercizio per scoprirlo, ma forse possiamo immaginare delle cose: un senso nuovo degli spazi occupati? Un modo diverso di identificare se stessə, e le persone vicine a noi? Chissà, forse persino un senso di lontananza, separazione, laddove invece l’abitudine della casa garantisce prossimità.
Durante gli anni del mio dottorato di ricerca, avevo preso l’abitudine di dedicare un sabato al mese, ogni mese, al silenzio: spegnevo il telefono, il computer (la TV non c’era in casa), niente musica, nessun momento online, nessuna conversazione: solo io, il mio corpo, la mia mente. Poi, d’improvviso, rompevo il silenzio, spalancavo gli occhi. È un esercizio simile a quello descritto da Foer, e che recentemente ho ripetuto, seppure in forma minore, lasciando i miei spazi digitali vuoti, inabitati, per un po’ di giorni. Dopo un po’ di iterazioni, ho compreso che era un esercizio di identità (e no, non sto parlando di matematica).
Sono mesi che questa parola, identità, mi perseguita, e che la mastico cercando di decomporla, delineandone i pezzettini. Il dizionario Treccani definisce l’identità come
il senso e la consapevolezza di sé come entità distinta dalle altre e continua nel tempo.
Io credo che l’identità sia piuttosto una raccolta di momenti fugaci, un insieme di pezzi che si allineano a poco a poco per formare un’immagine: non è uno stato, è piuttosto un divenire, un continuo trasformarsi. Forse l’identità è l’insieme delle cose che ci succedono, di quelle che scegliamo, delle parole che ascoltiamo, degli atti di cui siamo partecipi. Siamo quello che ricaviamo dalla voce dell’altro? Nasciamo in un mondo fatto di parole preesistenti, prefabbricate, che inaugurano la pluralità delle nostre identificazioni? O siamo liberə di scegliere, di plasmarci, al di là del tessuto sociale in cui viviamo, al di là degli altri poli nelle nostre relazioni?
Sulla mia biografia di Instagram qualche tempo fa ho scritto:
Mi piace disorientare le persone. Per questo cambio foto profilo spesso, spessissimo. Di dati, open science, c**i, autodeterminazione.
L’ultima parola è un'altra di quelle che non mi lascia dormire la notte. Che significa? - mi chiedo spesso. Ed è una parola che posso usare? Ne ho il diritto? Ne comprendo la potenza? Ne sono attratta, e allo stesso tempo mi fa paura.
Si parla di principio di autodeterminazione dei popoli dai tempi della rivoluzione francese: tanti Paesi al mondo hanno vissuto, e continuano a vivere, lotte sociali per abbattere domini coloniali e affermare la propria libertà. La lotta iraniana per l’autodeterminazione ha portato il 16 febbraio 2023 alla pubblicazione di un documento, la Carta, in cui si rende esplicita in modo lucido e doloroso l’interdipendenza tra misoginia, discriminazione di genere, povertà, oppressione di classe, oppressione etnica, oppressione religiosa. Il testo vive di una dimensione popolare che va oltre le spinte individualiste, e che però si nutre di tutte le identità, provando a difenderle, a legittimarle, a dare loro spazio e voce.
Ritratto di Mahsa Amini creato da Ernesto Yerena a sostegno del Movimento per i diritti della donna in Iran.
Molto, ma molto dopo la rivoluzione francese, con l’avvento del Regolamento generale per la protezione dei dati personali (GDPR), si parla di principio dell’autodeterminazione informativa; lo dice l’Art. 4 della Dichiarazione dei diritti in Internet:
I dati devono esser trattati rispettando i principi di necessità, finalità, pertinenza, proporzionalità e, in ogni caso, prevale il diritto di ogni persona all’autodeterminazione informativa.
In parole povere, decido io se ed entro quali limiti rendere noti i fatti legati alla mia vita personale.
Ci si potrebbe chiedere che fine faccia, questo principio di autodeterminazione informativa, nel mondo dell’Intelligenza Artificiale (IA) e delle tecnologie dirompenti degli ultimi tempi. E infatti ce lo chiederemo, ma un po’ più avanti.
Sembrerebbe insomma che identità e autodeterminazione siano a tratti due facce della stessa medaglia, e che talora raccontino invece spinte e forze completamente diverse: da un lato decentramento per conferire potenza alle lotte sociali, e dall’altro protezione e custodia del singolo.
Identità però è anche e soprattutto differenza.
Da poco ho chiesto la cittadinanza belga. Parlandone a lavoro qualche mese fa una persona ha esclamato: “you’re finally going to be one of us!” (“sarai finalmente una di noi”), e io sono rimasta un pochino perplessa. Che significa che sarò finalmente una di loro? Mi piacerebbe prendere la cittadinanza belga per acquisire il diritto al voto. Se va bene, mi daranno anche una carta di identità nazionale, e volendo potrei chiedere anche un passaporto belga, ma non è che mi serva davvero: nella classifica dei passaporti del mondo, quello italiano si trova al secondo posto (assieme a Svezia, Germania, Finlandia e altri Paesi), con un punteggio di mobilità pari a 175. Insomma, se misuriamo la forza di un passaporto con il numero di Paesi a cui questo dà accesso, allora il passaporto italiano è potentissimo.
Screenshot della dashboard di Passport Index che illustra in quali Paesi del mondo sia possibile entrare con un passaporto italiano con o senza visto.
Ma che c’entra tutto questo con la mia identità? Poco, direi molto poco.
Io sarei molto più interessata a una carta dei diritti, e quella credo che dovrebbe essere la stessa per tuttə.
Riconosco, però, che la mia è una visione molto privilegiata, da donna bianca, europea, che è emigrata in Belgio 12 anni fa e che non ha (quasi) mai subìto discriminazioni che avessero a che fare con il suo Paese d’origine. Paradossalmente, invece, in Italia sono stata derisa più volte per il mio linguaggio: parte della mia identità è che non riesco a pronunciare la C seguita da una I come fanno tante persone che parlano italiano. Per me CI diventa SCI (però ciao è ciao, eh!) - e quindi: lucido diventa luscido, amici un po’ amisci, ciliegia sciliegia, e insomma avete capito. Ho contribuito anch’io alla diaspora meridionale, mascherando l’accento isolano, forzando le CI, quasi mimetizzandomi. Ho notato, col tempo, che anziché unire, la lingua meridionale divide. E non soltanto il nord dal sud, ma spesso anche le persone che emigrano. A distanza di anni, rimangono in me residui di rabbia che parlano di un’identità frammentata in cui spesso fatico a riconoscermi, in cui appartenere a un unico luogo diventa precario, quasi impossibile.
Se identità è un termine che definisce includendo ed escludendo, per decidere cosa è dentro e cosa è fuori questa definizione, allora bisogna guardare ai margini. E bisogna farlo anche nel mondo virtuale, in quello online. Andare dal passaporto alle password, se vogliamo. Chi sono io, online? Quale rappresentazione virtuale della mia identità reale scelgo oggi? E se è vero che ormai l'IA è dappertutto, come condiziona la mia identità? Come condiziona la mia libertà di scelta, di autodeterminazione?
Se è vero che l’identità digitale vive molto più a lungo di quella fisica, e che gli spazi che abitiamo sono sempre più governati dall’utilizzo di algoritmi e sistemi di decisione autonoma, bisogna ricercare strategie che ci aiutino a proteggere le nostre identità. Qualunque forma esse abbiano.
Anche, e soprattutto, se queste identità si muovono ai margini.
È quello che sta a cuore a tante persone. Come all’artista Anouk Kruithof, che nel 2015 ha iniziato il progetto AHEAD interrogandosi su come creare un ritratto anonimo che sfuggisse ai sistemi di riconoscimento facciale. Ne viene fuori un quadro di 1080 fotografie che un sito web ci restituisce in ordine cromatico, 1080 persone con il viso rivolto verso lo sfondo. Non importa da dove vengono, non importa che forma o colore abbia il loro volto, le loro identità sono custodite, e il colore dello sfondo unisce le loro diversità.
Screenshot dal sito AHEAD: www.ahead.website
In “Eccomi” Foer parla di due rivelazioni alla fine del rituale familiare:
l'estraneità di una casa in cui i bambini avevano vissuto tutta la vita e l'estraneità della vista.
Spegnere i sensi, ogni tanto, forse ci aiuta a riappropriarci dei nostri pezzetti, sfumando i confini tracciati negli anni, e mettendo a fuoco identità tanto diverse quanto preziose.
Se la risposta è “io”, la domanda qual è?
Temo di non saperlo ancora. Scopriamolo insieme, se vi va.
Big Data e Algoritmi al Data Book Club
Abbiamo scelto la lettura del mese e ci portiamo in spiaggia (o ce lo godiamo insieme alle melanzane fritte) il libro “Big Data e Algoritmi. Prospettive critiche” (Carocci 2021) della filosofa Teresa Numerico. Ne parliamo a settembre prima in una serata privata “di club” (ma aperta a chiunque voglia partecipare) e poi live con l’autrice. Le date arriveranno!
Linketti estivi
Quando le autrici di Data Feminism hanno scritto il quinto capitolo del loro fondamentale librone - ne abbiamo discusso anche al Data Book Club - la parte in cui spiegavano l’importanza di non eccedere nella pulizia dei dati - passaggio sacro per chi si occupa di analisi - non mi era chiara del tutto. Ci è voluto un progetto artistico che ora vorrei anche andare a vedere dal vivo a Londra per rendermi chiaro il concetto: Deepfake e drag queen per sfidare il binarismo dell’intelligenza artificiale, ne ho scritto su La Stampa.
Qui si dice che nel mio primo libro Ti Spiego il Dato (Quinto Quarto ed.) sostenevo anche che “non c’è giustizia senza dati” e che “sui dati si basano le scelte politiche, le decisioni su cosa fare con il denaro pubblico in termini di strategie, sostegni, investimenti ecc. Ecco perché a decidere quanti, come e dove raccogliere i dati, dovrebbero esserci più donne, o comunque più persone coscienti che i numeri o ancor di più, la loro mancanza, riflettono pregiudizi culturali che è ora di scardinare, anche rendendo i dati uno strumento più equo”. Grazie Rosella Scalone.
Un questionario rivolto a giornalistə per monitorare i rischi sulla salute mentale: è la prima inchiesta sulla salute mentale nel giornalismo in Italia realizzata da IRPI – Investigative Reporting Project Italy. L’obiettivo è di raccontare quali sono le difficoltà che vivono ə giornalistə, per poi fornire degli strumenti per riconoscere e affrontare situazioni di stress o disagio psichico.
Ehi, pss: c’è Dentro l’Algoritmo in offerta su Amazon Kindle Unlimited! Non dite che ve l’ho detto io.
Ho sognato dei fogli di calcolo prodotti da Palantir sui migranti e l’ho raccontato su Instagram. Trovi tutto nelle storie in evidenza, anche perché non puoi non sapere cos’è e cosa è in grado di fare (quali dati gestisce) questa società fondata da Peter Thiel (solo il 17% delle persone che mi segue l’aveva già sentita nominare!).
Ma ora il secondo numero della Summer edition 2023 si chiude.
Ci risentiamo a fine agosto, con l’ultimə ospite.
Grazie!
Donata e Paola