Quando le élite bloccano l'accesso alla conoscenza
Dal calcolo della longitudine in mare alle intelligenze artificiali (più o meno)
Siete almeno 500 in più rispetto all’ultimo numero che ho mandato prima della pausa estiva: grazie per chi ha diffuso questa newsletter, ne ha parlato in giro, l’ha consigliata tra le sue letture preferite. Ci aspettano mesi interessanti e sono felice che siate tantə qui.
Ma tu hai un team, vero? mi hanno chiesto all’ultimo evento pubblico a cui ho partecipato. No. Ma da poco ho una Roberta Cavaglià che collabora con me. Roberta è l’autrice di
e avete già letto alcuni suoi contributi in numeri passati nella newsletter. La sua presenza sarà più visibile nelle prossime settimane e sono felicissima che a curare queste parole ci saranno quattro mani e quattro occhi da ora in poi.In questo numero: se qualcuno vi dice che usare una tecnologia, leggere un libro, maneggiare un sapere, è pericoloso e può farlo solo lui, iniziate ad avere sospetti e imparate immediatamente ad appropriarvene per capire meglio. Dai testi alchemici alla longitudine fino all’intelligenza artificiale.
Torna a sostenere la newsletter la fondazione Fight The Stroke. Vi ricordate del Fight Camp? Seguendo le pagine della fondazione su varie piattaforme social in questi mesi ho visto le foto dei piccoli atleti alle prese con sport e laboratori incredibili. “Wow” è la parola che ho pronunciato più spesso, ma non sono l’unica a pensarla così: FTS è stata citata anche durante la cerimonia di apertura delle Paralimpiadi su Rai2 perché il lavoro che fanno con lo sport e la disabilità è raro in Italia (con i bambini, soprattutto).
E ora, cominciamo.
I data-link della settimana
Un dataset: un osservatorio sui sistemi automatizzati usati dalle pubbliche amministrazioni in Europa, tema caldo viste le nuove/vecchie polemiche sull’algoritmo che regola le cattedre scolastiche in Italia.
Una data-notizia: “se ne riparla a settembre”, perché tutto chiude in estate. È vero? No, secondo i dati Istat commentati da Lavoce.info: in Europa i lavoratori italiani si assentano meno di altri dal posto di lavoro nel periodo estivo.
Un gioco: come Wordle, ma con i grafici. Grazie, lo userò all’università.
Criticare l’uso delle IA (intelligenze artificiali) nella produzione creativa è classista e abilista? Sì, per il National Novel Writing Month (NaNoWriMo), un'organizzazione con sede negli Stati Uniti che promuove la scrittura creativa in tutto il mondo. Tra l’altro, dopo aver pubblicato un comunicato in cui esprimeva la sua posizione contro i critici delle IA, è stata oggetto di insulti online. Ci torneremo.
Ricordi che cercavo progetti di raccolte dati dal basso? Puoi ancora segnalare la tua. Compila il form (e se trovi qualche incongruenza con le categorie segnala pure!) e condividilo, se vuoi. Dal prossimo numero cominciamo a raccontarle.
Scoprire come funzionano uno sciacquone o il mercato delle emissioni richiede un certo impegno. (…) se vogliamo spiegare concetti complessi alle persone in maniera efficace, dobbiamo fare leva sulla loro curiosità.
“Dare i numeri” - Tim Harford (Francesco Brioschi Editore 2022)
La longitudine e i sapienti che bloccano l’innovazione
Salpare i mari e portare l’equipaggio sano e salvo alla destinazione prescelta, fino alla fine del 1700 è stata praticamente sempre una questione di fortuna: ne morivano in migliaia, di marinai, per lo scorbuto contratto dopo mesi senza un’adeguata nutrizione, vagando per acque incerte senza poter indirizzare le navi verso destinazioni sicure, oppure a causa di naufragi contro falesie di cui non si conosceva l’esistenza e che venivano nascoste da fitti banchi di nebbia. Mancava la navigazione satellitare? Certo.
Ma, soprattutto e più semplicemente, mancava un modo per determinare la longitudine, e cioè conoscere la propria posizione est-ovest in mare aperto. Era sì possibile capire e misurare la latitudine (la posizione nord-sud, quella dei paralleli) osservando il Sole o le stelle, ma conoscere la longitudine, e quindi l’angolo tra il meridiano in cui ci si trova e un punto di riferimento fisso, come il meridiano di Greenwich, richiedeva un calcolo preciso del tempo.
Dal momento che la terra ruota di 15 gradi ogni ora, per determinare la longitudine di una nave, è necessario conoscere l'ora esatta in due punti: quella di dove si trova la nave e quella di un punto di riferimento fisso. La differenza di tempo tra questi due punti può essere convertita in una differenza di longitudine e indirizzare così la nave verso la destinazione desiderata. Ma nessun orologio nel 1700 era in grado di segnare l’ora esatta in mezzo all’oceano.
Con disperazione, per convogliare le energie degli scienziati dell’epoca nella soluzione del problema, nel 1714 in Inghilterra fu approvato il Longitude Act, offrendo un premio di 20mila sterline a chiunque trovasse una soluzione pratica per determinare la longitudine.
A vincere (parte) del denaro, fu, nel 1773, un orologiaio di nome John Harrison.
Non avevo mai sentito la sua storia prima di leggere “Longitudine”, di Dava Sobel, giornalista scientifica del New York Times. Il saggio, che come ogni testo di non fiction statunitense si apre con i ricordi di infanzia della scrittrice, è in realtà un’avvincente ricostruzione del processo con cui viene realizzata e poi accettata dalla società e dalle élite al potere un’innovazione tecnologica.
Un orologio portatile, che idea!
A parte la storia personale di Harrison, ho trovato interessante che gli ostacoli maggiori allo sviluppo della sua invenzione, che era in pratica un orologio “portatile”, molto più resistente e preciso degli ingombranti orologi a pendolo dell’epoca, fosse stata oltraggiata in vari modi da esperti e autorità del tempo, scettici riguardo alla sua reale efficacia: la Commissione del premio e in generale gli scienziati consideravano la longitudine un problema astronomico, non meccanico, e spingevano per migliorare il metodo delle distanze lunari o quello dei satelliti di Giove, studiati anche da Isaac Newton. Questo metodo implicava la necessità di osservazioni astronomiche per prevedere la posizione della Luna rispetto ad altre stelle visibili. Misurando l'angolo tra la Luna e una stella, o tra Giove e i suoi satelliti, e confrontando questa misura con tavole astronomiche, i marinai potevano determinare l'ora a Greenwich.
Troppo facile così
Il problema era che queste osservazioni in mare aperto erano molto complesse e non alla portata di tutti:
In confronto, John Harrison pareva offrire al mondo un piccolo oggetto ticchiettante dentro una scatola. Ridicolo! Peggio ancora, questo marchingegno di Harrison risolveva già all’interno dei suoi meccanismi tutto il complesso problema della longitudine. Per utilizzarlo non era necessario avere dimestichezza né con la matematica né con l’astronomia, e non serviva nessuna esperienza per farlo funzionare. Agli occhi degli scienziati e degli astronomi, l’orologio marino aveva in sé qualcosa di sconveniente. Qualcosa di troppo facile.
(da “Longitudine”, di Dava Sobel)
Ecco l’élite che si sente messa da parte.
Superata da una scatoletta che contiene in sé la soluzione a uno dei più grandi problemi della storia, pari oggi forse al trovare un vaccino per la malaria o la cura definitiva contro il cancro.
Un atteggiamento che mi ricordano certi speaker con cui ho condiviso il palco quest’anno, che dal privilegio della loro posizione avvertono dei pericoli della tecnologia, ma si riservano di usarla, loro sì, perché ne hanno esperienza e profonda conoscenza. Come quando le élite della chiesa cattolica mettevano al bando i libri alchemici non per impedirne integralmente la lettura, ma per fare in modo che si potesse accederne solo accompagnati da chi “aveva studiato”.
Una separazione.
Non tutte le critiche alle intelligenze artificiali e alle innovazioni di oggi avvengono con questa superficialità, ovviamente.
Parlo qui di un atteggiamento paternalista, prescrittivo, che ha come unico obiettivo quello di limitare l’uso di certe applicazioni tecnologiche perché in mano alle persone comuni potrebbero fare “danni”. A scuola, per esempio. Meglio vietare che comprendere, no?
Si è fatto tempo fa, durante i lockdown per l’epidemia da Sars-Cov-2, lo stesso discorso sugli open data: non mettiamoli a disposizione di chi non sa maneggiarli. Ma chi ha il diritto di decidere che i “saggi” e gli “scienziati” (maschile sovraesteso non a caso) sono quelli a cui dobbiamo lasciare tutto il potere di decisione?
Anche perché, come scrive
nella sua nuovissima newsletter che vi consiglio di seguire, la scienza è politica.Questa newsletter è sostenuta da: Fight The Stroke
Il Fight Camp non è un’iniziativa che si può liquidare con l’immagine di un camp estivo che in molti hanno in mente: un campetto, due volontari e un pallone.
dice Francesca Fedeli, co-fondatrice della Fondazione Fightthestroke insieme a Mario e Roberto D’Angelo. E allora cos’è? I disegni di chi ha partecipato sono già un buon indizio:
L’ottava edizione del Fight Camp si è svolta a Milano dal 12 al 18 agosto, sostenuta dalla Fondazione Prosolidar e con il patrocinio dello Sport for Inclusion Network, e ha permesso a 18 bambini con Paralisi Cerebrale tra i 6 e i 13 anni, provenienti da tutta Italia, di apprendere nuove abilità praticando sport, contribuendo a creare così quel vivaio di talenti con disabilità che vorremmo vedere alle prossime Paralimpiadi di Los Angeles e Brisbane.
Se è vero infatti che tanto è stato fatto negli anni e che ci siamo presentati a Parigi con la squadra più numerosa di sempre (141 atlete e atleti, con un buon equilibrio di genere), a prima vista sembrano mancare i giovanissimi rispetto agli altri paesi, così come evidente è l’assenza di alcune discipline così seguite invece durante le recenti Olimpiadi (come il calcio a 7 CP).
Ma da qui a 4 anni gli atleti del Fight Camp hanno un sacco di strada davanti, e chissà che non saremo a tifarli come stiamo facendo in questi giorni con le Paralimpiadi.
Per continuare a organizzare eventi come questo Fight The Stroke ha bisogno del sostegno di tutti, e quello più facile è sicuramente il 5x1000. Basta segnare il codice fiscale (97688330154) e mettere la tua firma sulla dichiarazione dei redditi.
La dataviz della settimana
Scusate, se c’è occasione di vincere qualche medaglia io ci sono sempre.
Il New York Times si è inventato un quiz - ma chiamiamola pure GARA PER CHI NE SA DI PIÙ - sulla velocità degli “oggetti” (martello, disco, giavellotto, frecce, palle e palline, …) lanciati dagli atleti e le atlete ai Giochi Olimpici. Si può rispondere usando i chilometri e non le miglia, come sistema di riferimento. Alla fine si ottiene anche un simpatico medagliere di cui non metto lo screenshot altrimenti copiate le risposte esatte (no, certo che non sono competitiva).
Il tour riparte!
Reggio Emilia, 6 settembre: sono al festival di Emegency, ore 20:45 con un talk dal titolo “I dati possono discriminare le persone?" Qui il programma completo, bellissimo.
Parma, 9 settembre: incontro sul mio utimo libro alla biblioteca Malerba alle ore 21.
Trento, 25 settembre: presento “Quando i dati discriminano” alla libreria Erickson.
L’Aquila, 3 ottobre: sono felicissima di incontrare tante persone che stimo al DiParola festival, il primo evento in Italia dedicato alla comunicazione chiara e alla semplificazione del linguaggio. Terrò un talk sul tema della precisione.
Padova, 12 ottobre: sono al Cicap Festival, prima volta per me.
Pisa, 13 ottobre: ci vediamo a Internet festival con Giulia Blasi (evviva!).
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Contentissima di essere salita a bordo <3
In una classica finta domanda alla fine di un mio intervento “con ChatGPT siamo tutti professori”, col tono di “moriremo tutti”. Élite marameo, lo dicevano anche della stampa 🍀