

Discover more from Ti spiego il dato - ogni settimana
Il problema di mettere a confronto il numero delle vittime di conflitti diversi
Le nostre aspettative sui dati dal 2020 in poi ci mettono in una situazione complessa
In questo numero: come camminare sulle uova senza romperle quando usiamo dati e statistiche per raccontare il conflitto.
Ah! Per tutto novembre l’abbonamento a pagamento alla newsletter è scontato del 20%. Cosa te ne fai? Hai accesso all’archivio completo (sotto paywall ci sono i numeri più vecchi di un mese, tranne quelli con le interviste) e sostieni il lavoro di chi collabora con me (le persone che scrivono i pezzi durante la pausa estiva sono pagate, da quest’anno, e vorrei aumentare le collaborazioni.
Prendilo qui:
Hai del budget aziendale da investire? Pensa a una sponsorship.
«In Somali, when we see injustice, we say ‘dhiiga kuma dhaqaaqo?’ which translates into ‘does your blood not move?’»
Warsan Shire
I dati ci fanno “muovere il sangue”
Dico sempre che non voglio tenere più corsi, poi però è l'’esperienza lavorativa che mi tiene più ancorata alla realtà. In questi giorni sono alle prese con una classe di persone che lavorano nel settore non profit e mi sono trovata a (ri)mettere nelle slide un’immagine del 2020, due meme che ci ricordano quanto sia cambiato in poco tempo il nostro rapporto con dati e statistiche, soprattutto se riguardano temi di attualità.


Il dato, anche per il pubblico meno literate, meno esperto, non è più una sorpresa, un’anomalia all’interno di una notizia o di un post sui social, ma uno strumento con cui leggere una parte di mondo e per cui si attivano aspettative altissime.
Quanto misura la Striscia di Gaza rispetto alla provincia di Milano? A Hong Kong? Qual è la densità abitativa e cosa vuol dire? Quante tonnellate di bombe sono state sganciate e come possiamo confrontarle?
Sono domande che in questi giorni si fanno le redazioni, ma anche lettori e lettrici. E le risposte le danno le testate giornalistiche ma, esattamente come in pandemia, anche attivisti e attiviste, comunità di esperti, persone che vivono la situazione da molto vicino, anzi da letteralmente sotto i bombardamenti.
Con questa premessa, il modo in cui usiamo i dati per parlare di un tema che è trending topic e su cui si discute nel dettaglio su ogni canale, da ogni prospettiva, è ancora più delicato. Camminare sulle uova, dicevamo.
Il problema di mettere a confronto il numero delle vittime di conflitti diversi
Per questo motivo il fatto che questa infografica ormai virale giri da giorni senza indicazioni sulla sua authorship, cioè la paternità o maternità della sua realizzazione, mi ossessiona e mi preoccupa.
La fonte dei dati è indicata e chi l’ha condivisa li ha verificati e validati (ha detto “sì, possiamo usarli e possiamo parlarne”), ma a me sembra che la mancanza del nome dell’autore o dell’autrice del grafico non sia un dettaglio da poco. Nemmeno nei duemila commenti sul post di Reddit in cui è stato pubblicato - con un titolo molto fuorviante - è possibile rintracciare la prima condivisione di questa immagine.
Sapere da dove arriva quel contenuto però fa parte del contenuto stesso. Qui non sappiamo chi ha voluto creare per primə un confronto tra il conflitto in Ucraina - di tanti in atto nel mondo - e quello che sta succedendo a Gaza. Perché l’Ucraina è più vicina a noi (europei) e ha occupato per molto tempo allo stesso modo le pagine dei giornali? Sono solo supposizioni.
Il problema però è proprio l’accostamento tra due situazioni che non hanno nulla a che vedere l’una con l’altra. I numeri così confrontati, persino con due grafici a barre, diventano oggetto di dibattito, condivisioni, articoli, commenti.
Qui sì che il nostro sangue si muove, ci scaldiamo, ci indigniamo, e smettiamo di farci domande. Per esempio non mettiamo in dubbio i dati sull’Ucraina, quando forse dovremmo farlo, perché si tratta di cifre ampiamente sottostimate.
Contare i morti in una guerra è una questione complessa ed è sicuramente politica, non neutrale.
Lo sostengono anche gli autori del paper “Counting casualties: A framework for respectful, useful records”, da cui sintetizzo e traduco dei pensieri:
Decidere di registrare o meno le vittime di una guerra rappresenta un giudizio di valore, una scelta ben precisa. Pare che per rispondere a una domanda sui progressi della campagna militare in Afghanistan il generale statunitense Tommy Franks affermò: "Non facciamo la conta dei cadaveri". (…)
Alcuni sostengono questa politica perché eviterebbe una pratica che in passato ha distorto la condotta degli Stati Uniti nella guerra del Vietnam, dove il conteggio dei cadaveri enfatizzava il numero dei morti dei nemici, piuttosto che le conseguenze sociali, economiche, politiche e ambientali del conflitto.(Graham, 2005).
Chi si oppone dice che non contando le vittime si perdono informazioni che sono essenziali per comprendere la guerra. Ma il conteggio dei corpi potrebbe minare la dignità delle vittime, riducendole a numeri, dicono altri.
Se non li contiamo, però, neghiamo a questi individui la dignità del riconoscimento del loro sacrificio.
Gli autori prendono in considerazione il progetto Iraq Body Count avviato nel 2003 e analizzano il modo in cui sono registrati i dati, per cui le variabili considerate erano
noncombatant status, date of death, time of death, target, location, weapon.
Non sono comprese le vittime indirette del conflitto, quelle cioè dovute all’insorgere di epidemie a causa della scarsità igiene o qualità dell’acqua, oppure per le conseguenze dell’uso di armi chimiche nel tempo.
C’è una distinzione chiave nel monitoraggio, che prevede la differenza tra soldati e civili. Nel caso dell’Iraq Body Count per il conteggio dei soldati sono stati fondamentali i War Logs di Wikileaks rilasciati nel 2010.
Lo status di civile o non combattente
ha un valore essenziale per onorare i caduti ed è strumentale per prendere decisioni sulla guerra. L'applicazione di questa caratteristica durante una guerra civile o un'insurrezione richiede un giudizio professionale, in quanto l'abito civile non garantisce lo status di non combattente. (…) Alcuni ruoli però sono intrinsecamente ambigui (ad esempio, i funzionari del braccio civile di un'organizzazione militare, i camionisti impiegati dai militari).
Nel paper viene poi preso in considerazione il lavoro di btselem.org (ovvero The Israeli Information Center for Human Rights in the Occupied Territories) durante la seconda intifada, per cui le variabili osservate nel conto delle vittime sono
nationality of dead, military status of killer, age of dead, location, date
Se mettessimo a confronto i due database avremmo due colonne in più (nazionalità ed età) e due in meno, target e arma usata.
Senza andare a vedere la cifra finale, già emerge quanto sia complesso poter affiancare due situazioni così diverse, soprattutto quando i conflitti sono ancora in corso.
È importante contare, lo dico spesso, lo dico sempre, ma non è l'unica cosa da fare per comprendere la disumanità di una guerra.
La dataviz della settimana
La migliore visual explanation dei fatti (storici e recenti) in Israele e nella Striscia di Gaza l’ha fatta il South China Morning Post, con mappe storiche, satellitari, illustrazioni e grafici. Da tenere nei siti preferiti e consultare quando non ci ricordiamo più di cosa stiamo parlando quando parliamo di Palestina.
Ancora un po’ in giro
Bologna, 14 novembre: alle 11 sono ospite del gruppo studentesco GAUSS di Scienze Statistiche a Bologna per una lezione sul femminismo dei dati, ci trovate in aula A2 in viale Carlo Berti Pichat 6.
Padova, 14 novembre: alle ore 18 presento il mio libro “Dentro l’algoritmo” nell’ambito della Settimana della Scienza a Palazzo Moroni, Sala Paladin. Bisogna prenotarsi.
Firenze, 23 novembre: sono a BTO con due appuntamenti, uno dedicato alla cassetta degli attrezzi del data storytelling per il turismo e uno su come valorizzare il patrimonio con gli open data. Il calendario è qui.
Bologna, 27 novembre: sono all’evento Orfani speciali: vittime invisibili del femminicidio, al Festival della Violenza Illustrata.
RaiTre, 26 novembre: alle 8 (sì dai, alzatevi!) mi trovate all’interno della trasmissione “Protestantesimo” dove parlo di dati e femminicidi.
Milano, 30 novembre: Violenza contro le donne: lasciamo parlare i numeri, alla Chiacchierata femminista di We World.
Bene, abbiamo finito! Se ti è piaciuta la newsletter falla girare, lascia un cuore (che sono sensibile) e valuta di sfruttare lo sconto di novembre :)
Noi ci leggiamo mercoledì prossimo!
Il problema di mettere a confronto il numero delle vittime di conflitti diversi
Post veramente molto interessante. Ad oggi, peró, esistono dataset che permettono di fare una stima dei morti nei vari conflitti (ACLED e Uppsala Conflit Data Program) i quali usano una metodologia molto simile (Havard Hegre dell'Universitá di Uppsala é stato coinvolto in entrambi a un certo punto) e permettono di farsi un'idea -- per quanto sottostimata -- delle vittime di un conflitto. A titolo personale, avendoli usati entrambi e avendo fatto il body count dei conflitti, o si riesce a dare una referenza geolocalizzata a ogni vittima (come fanno Acled e UCDP) o non vale neanche la pena fare l'esercizio di generare un grafico perché il rischio che si diano informazioni sbagliate é semplicemente troppo alto.
Addirittura, nei TOS di Acled viene esplicitamente scritto che i loro dati non possono essere utilizzati insieme a quelli provenienti da altri dataset proprio per questioni di diverse metodologie tra chi fa il mestiere di contare i morti sul campo.
Ciao Donata, il tuo post mi ha fatto pensare. La questione principale sulla quale faccio fatica, oltre al problema della attendibilità dei dati, è se abbia senso comparare il numero di vittime. Non mi è chiaro se sia possibile comparare vittime dal punto di vista numerico e trarre qualche conclusione di tipo morale. Sinceramente non si cosa pensare. La cosa mi trova impreparato. In ogni caso vorrei consigliarti il libro di Paul Slovic “Numbers and Nerves,” (https://www.amazon.com/Numbers-Nerves-Information-Emotion-Meaning/dp/0870717766) che affronta in maniera approfondita alcuni di questi problemi. Puoi trovare una nostra intervista al Prof. Slovic in Data Stories di qualche anno fa qui: https://datastori.es/84-statistical-numbing-with-paul-slovic/.
P.s. La tua newsletter mi piace moltissimo! Ancora di più perché mi dà l'opportunità di leggere in italiano e di scoprire persone che lavorano in questo campo in Italia.