Di chi sono i dati? Data capitalism vs data sovereignty
E poi: accessibilità al Pride, una survey e i dati del 2022; un workshop di data journalism e libri che uso per prepararlo.
In questo numero: quando realizziamo un contenuto informativo basato sui dati sarebbe importante chiedersi “a chi appartengono”. Il lavoro di una cartografa con le comunità indigene e il Māori Data Sovereignty Movement possono insegnarci molto.
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È un laboratorio pratico aperto a tutte le persone che non hanno esperienza e che vogliono imparare a raccogliere, analizzare e rappresentare i dati. Il programma giorno per giorno e il link per iscriversi è qui.
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The place names aren’t datasets. The place names are cultural property being shared with the map that come from people.”
Mararet Pierce
Non tutto è “dato”. Per diventare dato, serve il permesso di chi lo può rendere tale. Serve una relazione. Questa è la premessa con cui la geografa e scrittrice Mararet Pierce si è avvicinata alle comunità indigene canadesi per realizzare Coming Home to Indigenous Place Names in Canada (2017), una mappa che riconsidera il Canada attraverso la lingua e la geografia dei suoi popoli indigeni. Pearce, che fa parte della Citizen Potawatomi Nation, ha trascorso 15 mesi raccogliendo nomi di luoghi indigeni dalle popolazioni First Nations, Métis e Inuit.
Ora sta lavorando a una nuova mappa che indigenizza il fiume Mississippi per creare nuovi spazi per il dialogo pubblico sulla gestione delle inondazioni.
Non posso pubblicare dettagli della mappa canadese perché non ho avuto tempo di chiedere il permesso alle comunità intervistate da Pierce.
Anche dopo la prima pubblicazione infatti Pierce ha preso l’impegno di prendersi cura delle informazioni ricevute dalle persone coinvolte e, ogni volta che la mappa viene riprodotta a una grandezza tale da poter leggere i nomi dei luoghi raccolti dalla geografa, Pierce scrive alle comunità a cui appartengono quei nomi e chiede il permesso per la loro riproduzione.
Di questa mappa e del lavoro di Pierce raccontano le autrici di “Data feminism” nel capitolo dedicato al binarismo razionalità/emozioni in cui si prova a capovolgere il principio secondo cui i dati dicono tutta la verità e nient’altro che la verità e per questo motivo le rappresentazioni devono essere il più possibile neutrali e minimaliste.
“I nomi dei luoghi non sono dati, sono relazioni, e non sono le mie. Così come questi che sono rappresentati non sono i miei luoghi, non è il mio territorio. Co-esistono come relazioni e sono incorporati nella comunità”, spiega Pierce a Catherine D’Ignazio in un’intervista pubblicata integralmente qui. Lo strumento della cartografia diventa quindi “non una rappresentazione di ciò che è ma una mappa di relazioni, di conversazioni e di interessi condivisi nella diversità di un paesaggio”.
Datafication links community, care and capacities to data. This link highlights how data, big or small, never stand on their own. Data only matter if someone cares about them and takes care of them. Care includes all the ways in which we value, regulate, curate and give meaning to data.
La dataficazione collega comunità, cura e competenze ai dati. Questo collegamento evidenzia come i dati, grandi o piccoli, non esistono mai da soli. I dati contano solo se qualcuno si prende cura di loro e se ne prende cura. La cura include tutti i modi in cui valutiamo, regoliamo, curiamo e diamo significato ai dati.
(Da “Data and Society” di Anne Beaulieu e Sabina Leonelli)
Mi conforta ritrovare il concetto di cura e di relazioni nelle mie letture sui dati a distanza di molto tempo: penso anche alla figura del “data curator” che il museo MAXXI ha provato a individuare - almeno in un percorso formativo - per cui la raccolta dati che riguarda i visitatori non diventa un puro esercizio di metriche e renderizzazione /datificazione dei loro comportamenti davanti alle opere, ma, anche qui, una creazione di relazioni tra pubblico, opere, personale del museo, e tra i dati stessi che si creano. Non a caso la rappresentazione finale è stata, almeno finora, un grafo, cioè una visualizzazione che serve a mettere in relazione i dati (ne avevo scritto per La Stampa).
(Credit: @MusacchioIannielloPasqualini)
I dati come relazione e come cura si trovano all’estremo opposto delle pratiche estrattive definite sotto il cappello del “Data Capitalism” di cui tratta per esempio l’ultimo rapporto di Data 4 Black Lives, che analizza gli aspetti più critici delle società capitalistiche rispetto all’uso dei dati, in cui “le disuguaglianze razziali sono una peculiarità, non un errore del sistema”.
Secondo il report i sistemi di raccolta dati e di tracciamento impiegati oggi dalle multinazionali risalgono all’epoca del commercio degli schiavi, quando venivano usati per mantenere ordine ed evitare qualsiasi azione di rivolta collettiva:
i commercianti di schiavi e i padroni delle piantagioni condividevano dati sui propri schiavi per massimizzare i profitti, calcolando l’aumento o il calo del loro prezzo, la produttività, l’aspettativa di vita, facendo un uso dei dati che de-umanizzava le persone, togliendo loro libertà e capacità di agire.
Nel tempo i dati sono stati usati per discriminare e isolare le comunità nere - ma non solo loro - per esempio con la pratica del redlining, che divideva le zone delle città americane secondo la presunta pericolosità e degrado dei quartieri creando delle zone ghetto per i neri, e oggi questa stessa filosofia è applicata dalle compagnie assicurative per stabilire il costo delle polizze: un’inchiesta di ProPublica citata nel report ha rivelato che nel 2017 i residenti del quartiere nero di East Garfield Park a Chicago pagavano 190,69 dollari al mese per l’assicurazione della propria auto, contro i 54,67 dollari di chi viveva a Lakeview, un quartiere più bianco ma con un tasso di furto di auto più elevato. La compagnia assicurativa coinvolta nel caso ha spiegato che si serve di un algoritmo per definire i prezzi da far pagare ai clienti, ma non vuole renderne pubblico il funzionamento.
Capitalismo vs sovranità, non controllo ma cura
I Māori della Aotearoa (Nuova Zelanda) vedono i dati come un “tāonga” tesoro vivente, con immenso valore strategico. Ngapera Riley del Māori Data Sovereignty group scrive che sono uno strumento per capire “la nostra whenua (terra) e il nostro tangata whenua (popolo)”. Li aiuta a rispondere a domande come quante persone della comunità ci sono e dove vivono, quanti sono nati oltremare, se la loro terra è in salute, se c’è benessere, se possiedono abitazioni e imprese e quali fattori influiscono su questo. Ma il modo in cui cercano di raccogliere questi dati è definito dal movimento per la sovranità dei dati, nato nel 2016 per ridurre i danni causati dalla raccolta dati fatta sulla popolazione Māori senza la loro guida e il loro permesso, e per accogliere le opportunità che i dati possono dare loro per creare un futuro migliore per la propria terra.
Se esiste un processo femminista di datificazione, questo è il punto di vista da cui partire e da tenere in consiederazione.
As with most Maori viewpoints, it’s not about data control, it’s about care. In short, treat Māori data like the taonga it is.
SondaPride - Pride, disabilità e accessibilità
Quanto sono accessibili le manifestazioni del Pride in giro per l’Italia? A partire da questa domanda di ricerca l’attivista e creator Simone Riflesso lo scorso anno aveva prodotto una survey e una prima mappatura del livello di inclusione della disabilità all’interno degli eventi pride italiani, che aveva raccontato anche in un numero estivo di questa newsletter. Andate però a scoprire il progetto originale qui e diffondete il nuovo questionario.
Giugno, dicevamo
Venezia. Oggi 14 giugno dalle 15 alle 18 dialogo di IA con persone esperte sul tema come Stefania Milan e Elena Esposito, moderate da Luca De Biase, in un evento all’università Ca’ Foscari nell’ambito della Research Communication Week. Si può seguire online qui.
Roma. Il 15 giugno sono a Scienza Pop con Antonio Pavolini e Chiara Organtini e vi spieghiamo “Perché non dobbiamo avere paura della rete”.
Roma. Il 21 giugno presento “Dentro l’algoritmo” al Festival della Scienza e l’Arte Là Fuori a Villa Lazzaroni.
La nuova lettura del Data Book Club
Ma lo sai che ho co-fondato un gruppo di lettura dedicato ai dati insieme a Elena Canovi? Ne parlo troppo poco. La nuova lettura del mese però è una pietra miliare della divulgazione sui dati, e ne parliamo insieme il 12 luglio. Se vuoi unirti al club passa da qui.
(ah, da oggi sono anche parte del network Newsletterati! Vai a scoprire le altre newsletter)
A mercoledì prossimo!
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