La scorsa settimana la newsletter non è arrivata perché ho aderito allo sciopero dell’8 marzo. È la prima volta che l’ho fatto ufficialmente e, nel scegliere di fermarmi, bloccare tutto, in treno leggere un romanzo invece che libri di lavoro, ho capito due cose: 1) lo sciopero è uno strumento di lotta per persone che hanno il privilegio di scegliere. Ho evitato di rispondere alle email o di preparare slide perché avevo i nonni a Roma, quindi rinunciare a un prezioso giorno di lavoro da freelance sapendo che i bambini avrebbero potuto ammalarsi da un momento all’altro non mi ha spaventata più di tanto. Non avrei potuto fare questa scelta in un’altra occasione, bisogna sempre “lavorare come se il giorno dopo i ragazzini avessero l’otite” (semicit. un’amica mamma freelance). 2) Anche partecipare alle manifestazioni è un privilegio, così come fare attivismo, dal momento che la maggior parte degli incontri sono alle 18 o alle 18:30, che va benissimo per chi esce dall’ufficio, ma se hai una famiglia quella è l’ora in cui si prepara la cena, i bambini sono particolarmente stanchi (non possiamo portarli con noi) e pagare unǝ babysitter per fare attivismo… è un altro enorme privilegio. Gli spazi dell’associazionismo non sono sempre a misura di famiglie, anche quelli più femministi, e forse potremmo iniziare a chiederci come trasformarli in quest’ottica.
E ora, parliamo di dati.
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In Europa conosciamo nel dettaglio il numero di maiali e mucche che ci sono negli allevamenti, ma non quello delle persone che vivono per strada.
Giuseppe Rizzo, Smettiamola di chiamare invisibili i senzatetto (Internazionale)
All’intersezione di una colonna e una riga dentro il tuo foglio di calcolo c’è la cella che contiene il dato. Cos’è il dato? Una registrazione di uno “status” che riguarda quello che stai osservando rispetto a una variabile. Lo status può essere un numero, una parola che lo definisce per differenza (rosso, giallo, verde), un’immagine (ad esempio un emoji, un graffio sulla carrozzeria), tutto quello che può essere in qualche modo confrontato.
Per riempire quella cella hai fatto una domanda, a cui si può rispondere con il “dato”: come si è sentito lǝ paziente X con la somministrazione di questa medicina? Malissimo, male, indifferente, bene, benissimo.
Martedì scorso ho tenuto la seconda e ultima lezione di data journalism per lǝ studentǝ del master di giornalismo di Torino. Otto ore in totale, di cui la metà dedicate al foglio di calcolo e al definire le domande giuste per riempirlo.
Una serie di argomenti da cui prendere spunto e del tempo per buttare giù tutte le domande possibili, definire quelle a cui rispondere con i dati, e poi capire come e dove cercarli.
Con la domanda iniziale se la cavano tutti bene. Sono quelle per riempire le celle che diventano problematiche. Per esempio:
Come si parla di migranti sui giornali?
Dobbiamo riempire le celle. Quindi ci serve qualcosa di misurabile:
parole associate alla parola migrazione o immigrazione e loro frequenza (nella cella: il numero)
immagini usate a corredo dell’articolo: sono persone che hanno bisogno di aiuto? sono professionistǝ nel luogo di lavoro? (nella cella: sì, no)
chi parla di immigrazione? quante sono le persone di origine straniera a scrivere articoli su questo tema sugli articoli in totale in un certo periodo di tempo? (nella cella: il numero)
ecc.
E poi, una cosa che sorprende tuttǝ: i dati che ci servono per raccontare la storia che vogliamo di solito… non ci sono.
Ma se la domanda è ben posta anche l’assenza di dati è una risposta che è la “registrazione di uno status”. Non è misurato. È una notizia.
Penso al quiz creato da Sheldon.studio e Fight The Stroke per attirare l’attenzione sulla mancanza di dati sulla disabilità in Italia con il progetto DisabledData:
Sai qual è lo sport più praticato dalle persone disabili?
Ma penso anche alla decisione del comune di Milano di dare seguito a una richiesta del ministero dell’Interno, tramite il prefetto Renato Saccone, di interrompere le trascrizioni dei genitori non biologici dei figli di coppie omogenitoriali.
Le famiglie arcobaleno non spariscono però. Semplicemente, cancellata la misurazione, viene cancellato il contenuto di una cella. Ma le colonne o le righe continueranno a riportare l’intestazione delle nostre domande.
Lo dice bene Annalisa Cuzzocrea, vicedirettrice de La Stampa:

Contare è anche assumersi la responsabilità.
Ce lo dice l’etimologia del termine accountability, parola inglese che usiamo spesso come sinonimo di rendere conto, spiegare:
La base originaria è un latino tardo ad + computare, prefissato dello stesso verbo che prosegue nell’italiano contare (parola di tradizione diretta).
Sarà un caso? Ma io non credo.
Come è finito il viaggio dei dati del mio campionatore? Così:
Ho consegnato la provetta alla sede di Cittadini per l’aria di Roma (il 19 marzo sarebbe stato troppo tardi), segnalando nell’app EpiCollect e nel foglio di documentazione che i miei dati sono stati raccolti in un periodo diverso da quello previsto. Non so se il mio campionatore apparirà nella mappa finale, se riceverò le analisi per capire la concentrazione di NO2 nel mio isolato, ma anche questa “incertezza” fa parte della storia.
La dataviz della settimana
Un grafico per rendersi conto dell’impatto del fallimento della Silicon Valley Bank, realizzato da Nathan Yau.
Per l’analisi aspetto
su , che è sempre comprensibile anche per noi che non ne sappiamo nulla sul tema.
Tour e segnalazioni di marzo
Le presentazioni del libro a marzo sono state un regalo, sale piene e belle persone a intervistarmi. GRAZIE!
I prossimi appuntamenti da segnare sono questi:
20 marzo: parlo a Cesena sul palco del Festival delle buone idee, tutte le informazioni qui.
22 marzo: alle 18 io e Elena Canovi intervistiamo Simone Natale sul suo libro “Macchine Ingannevoli” (Einaudi 2022) sul canale Youtube del Data Book Club. Se non ne puoi più della retorica sulle magie che possono fare i computer per migliorarci la vita vieni a seguirci. Link in arrivo, collegati al nostro account su Instagram per restare aggiornata.
26 marzo: alle 11:30 sono a Biennale Democrazia a Torino per rispondere alla domanda (facile, facilissima) “L’Italia è un paese per donne?” con Eva Vittoria Cammerino di Prime Minister – Scuola di politica per giovani donne.
E poi:
Corso di giornalismo. Sono ancora aperte le iscrizioni per il corso di giornalismo “Un mondo da raccontare” che si tiene alla Scuola del Libro, con la direzione di Annalisa Camilli, giornalista di Internazionale. Sono tra i docenti con una lezione sul data journalism, lavoriamo sulle domande da fare ai dati per ricavarne una storia, esattamente come spiego in questo numero della newsletter.
(mio) Internet odia le donne (e le minoranze) per La Stampa
(mio) Gli algoritmi che regolano la pubblica amministrazione per L’Essenziale.
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Grazie di aver letto fino a qui, ci leggiamo mercoledì prossimo!
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[NB: Questa newsletter è stata riletta e corretta dalla super Magda Basso. Se ci sono errori li ho fatti io aggiungendo cose prima dell’invio.]
Mi sono riconosciuta tantissimo nella parte in cui racconti il privilegio di fare attivismo e mi ha ricordato una delle scene più belle e significative di Mary Poppins (film bellissimo e incredibilmente attuale) nel quale la padrona di casa (moglie di un ricco banchiere) è stata l'unica a poter andare alla manifestazione per il voto alle donne mentre cuoca e cameriera si sono dovute accontentare di cantare la canzone in casa al ritorno della padrona indossando le sue coccarde riciclate.
Quest è il video e secondo me è un'ottima rappresentazione di internazionalità per quelli che erano i tempi in cui il film fu girato https://www.youtube.com/watch?v=Ebb85LpVHS4