Contare le persone invisibili, una lettera sulla vulnerabilità, i libri fighi su dati e design da regalare
Lunga, ma utile (spero)
Ormai dire che qualcosa è stato scritto dall’intelligenza artificiale corre il rischio di essere vero. Ecco perché, per tentare essere di originale, ho fatto preparare questa newsletter da una persona in carne ed ossa! Come sempre, ovviamente.

Come preannunciavo nelle storie, questo numero sarà a “pezzetti”, senza il solito pippone centrale, ma con riflessioni sparse, una lettera da un’abbonata, la data viz della settimana e i consigli d’acquisto per Natale, come promesso.
Abbiamo sempre l’associazione ReCommon come preziosissimo sponsor, prezioso soprattutto per il lavoro che fa. Informiamoci e sosteniamola.
A cosa serve la raccolta dati statistica nazionale
Quando sono stata a Treviso per il festival della Statistica speravo di incontrare e abbracciare di persona Linda Laura Sabbadini, direttora centrale di Istat che ha avuto il merito di guidare in Italia il processo di rinnovamento radicale nel campo delle statistiche sociali e di genere a partire dagli anni 80, portando un approccio totalmente nuovo.
Ma è andata così:
Intervistata da Rosaria Amato, giornalista di Repubblica, sul tema dell’incertezza dei dati e della comunicazione, ha discusso sull’importanza della raccolta dei dati ufficiali su fenomeni come il femminicidio. Solo da quando si è deciso di guardare al colpevole degli omicidi delle donne e al movente si è capito che la maggior parte di questi crimini avviene “in famiglia”, ha detto Sabbadino, mentre per molto tempo la percezione diffusa in Italia era che a uccidere e violentare le donne fossero principalmente gli stranieri. Il fatto che oggi abbiamo questi dati, puntuali, settimanali, lo consideriamo normale, ma non lo è stato per molto tempo.
Come ripeto spesso, qualcuno deve decidere di osservare un fenomeno e trovare il modo di misurarlo.
Data thus do not simply emerge from human encounters with the world, scrivono Anne Beaulieu e Sabina Leonelli in Data and Society.
Tanto che proprio “Contare i femminicidi” (Counting Feminicides) è il titolo del nuovo libro, ora in open review, di Catherine D’ignazio, già autrice di Data Feminism, il titolo che abbiamo scelto per cominciare il nostro Data Book Club (siamo più di 200, ma c’è spazio per tutti e tutte!).
Quando cerchiamo dati sul sito dell’Istat diamo per scontato di trovarci certe informazioni sulla popolazione italiana.
Eppure non è sempre stato così.
Sabbadini racconta - questa volta nel suo TED talk, che si può recuperare qui - che quando entrò all’Istituto nazionale di statistica si rese conto che quella istituzione, che produceva un “bene pubblico”, era economicocentrica, cioè misurava solo fenomeni di natura economica.
La misurazione statistica riguardava esclusivamente i soggetti produttivi. I soggetti sociali inclusi nei dati erano visti in un’ottica di “appendice” alla produzione: gli anziani interessavano dal punto di vista del carico pensionistico, ma non dei loro bisogni o diritti.
Ma se non riesci a rendere visibili gli invisibili nelle statistiche, non riesci a rappresentare e capire quanto i loro diritti siano soddisfatti. In questo senso la statistica è fondamentale per la vita di una democrazia.
La stessa cosa succedeva per i bambini: si contavano il numero di alunni per classe, ma non si considerava la loro qualità della vita. Sulle donne venivano presi in considerazione gli indicatori demografici (il numero di figli), ma non si conosceva la misura del lavoro non retribuito. Anche stimare le violenze è stato difficile: Sabbadini racconta che ci vollero almeno cinque anni e venti test d’indagine diversi per capire come fare le domande giuste e far emergere le violenze in famiglia, per esempio.
Ogni dato che vediamo là fuori è frutto di processi molto lunghi, e la sua “vita” non si ferma alla pubblicazione. Quante cose avremmo da raccontare di ogni piccola tappa del viaggio dei dati?
La mappa della vulnerabilità. Mi ha scritto Sara
in risposta a questo numero della newsletter sulla mappatura femminista delle città e le ho chiesto se potevo pubblicare la sua email, mantenendo l’anonimato.
Si parla di percezione della sicurezza e del sentirsi vulnerabili.
Eccola:
Per anni io sono stata operatrice in un'unità di strada che incontrava donne trans sudamericane (quasi tutte senza documenti) che si prostituivano a Milano. E ad esempio loro mi hanno spesso raccontato che la strada è il luogo in cui si sentono più al sicuro perché: c'era sempre via vai (noi uscivamo su Fulvio Testi che dal quartiere di Isola arriva fino a Sesto San Giovanni, piena periferia), c'erano altre colleghe e si controllano tra loro (e tra loro si scambiavano segnalazioni di clienti violenti o che tentano di derubare o che hanno l'HIV e chiedono di avere rapporti senza preservativo) ed era più facile incontrare una persona ed eventualmente, al minimo sentore di pericolo, non entrare in auto. A casa lavoravano in poche solo con clienti abituali e conosciuti alla perfezione oppure in compagnia, dividendo l'appartamento con un'altra ragazza che possa intervenire in caso di violenza.Per le uscite noi ci preparavamo: dalle 22.00 alle 2 del mattino, anche in pieno inverno. E credimi che era veramente faticoso e freddissimo. Molte di loro avevano trovate strategie alternative e creative per sopportare il gelo (thermos con alcol di ogni genere e qualche puntata a casa di un'amica vicina, ma anche d'inverno lavorare su strada per loro era più sicuro.
Insomma, mi ha fatto davvero molto pensare.
Credo che poi nel tempo anche la nostra percezione di sicurezza legata ai luoghi cambi: dopo aver subito lo stalking, ormai prima della pandemia, ancora oggi ad esempio faccio molta fatica a sentirmi al sicuro in mezzo a molte persone, dove non posso distinguere i volti o individuare a colpo d'occhio uscite di sicurezza. Ma ho un team di amiche e amici solidali che mi circonda, letteralmente: anche qui strategie creative di sopravvivenza.
Ma soprattutto strategie creative per sentirsi davvero libere.
Questa newsletter è sostenuta da: ReCommon
Con ReCommon, associazione che lotta contro gli abusi di potere e il saccheggio dei territori per creare spazi di trasformazione nella società in Italia, in Europa e nel mondo, abbiamo avviato una collaborazione video spiegare la crisi energetica e i suoi impatti sulle persone e sull’ambiente.
Il 20 dicembre alle 13 facciamo una diretta Instagram in cui potete chiedere agli autori dei report sugli extraprofitti tutte le domande che vi sono venute in mente dopo aver visto i primi due episodi. Vi aspetto!
La dataviz della settimana
È un lavoro interattivo di Reuters, che ha vinto il premio Outstanding Studio agli Information is Beautiful Awards, per mostrare in modo grafico e visuale le differenze tra le varie lingue del mondo nel loro riportare o meno il “genere” delle persone.
In ebraico per esempio dire “ti amo” non si può fare in modo “neutro”, ma bisogna necessariamente genderizzarlo. Insomma, prendevi quei 20 minuti per godervi tutto.
Segnalazioni di Dentro l’Algoritmo
Il ragazzino di carta continua a essere avvistato in giro. Ma soprattutto viene segnalato nelle newsletter di persone del mondo marketing/tech, e mi fa molto piacere essere letta e consigliata dal passaparola.
Grazie a Giorgio Soffiato, Valerio Bassan e Stefano Gatti, che nella sua newsletter “La cultura del dato” riporta 5 motivi per cui leggerlo. Grazie 🖤
C’è anche una buona notizia per chi l’aspettava: Dentro l’algoritmo è arrivato in formato ebook! Puoi leggerlo al buio sotto le coperte senza mettere il naso fuori (d’inverno a me piace fare così).
(Qui sotto avvistato alla libreria Tuba, al Pigneto)
Infine, cosa regalo a Natale per chi ama dati e design?
Cinque titoli + due riviste che vi faranno fare una bellissima figura.
Il primo l’ho consigliato moltissimo nelle storie di Instagram. È EXTRA BOLD, titolo pubblicato da Quinto Quarto Editore (sì, quello di Ti Spiego il Dato), una guida femminista, inclusiva, antirazzista, non binaria per graphic designer a cura di Ellen Lupton, tradotto da Isabella Borrelli. (link aff della libreria Tlon, che ve lo manda a casa)
Filosofia del Graphic Design (Einaudi) è un libro di Riccardo Falcinelli per nerd del design e della comunicazione: leggendolo quest’anno ho avuto un a-ha moment non da poco. E cioè: perché nel tempo libero mi piace sfogliare libri come questo invece che manuali di marketing? Mi sono risposta e ho (quasi) cambiato vita :) (sempre link aff Tlon e pure autografato)
Un coffee table: la storia del mondo in infografiche, di Valentina D’Efilippo e James Ball. Ve lo consiglio perché adoro D’Efilippo come designer e perché in realtà lo metterei volentieri nella lettera di Babbo Natale, visto che mi manca. (link amazon)
Making with data è anche nella mia wishlist, un libro che parla di come rappresentare i dati nel mondo fisico, a cura di Samuel Huron. Questa è una delle pagine interne, capite che ne vale la pena:
Infine consiglio “I Am a Book. I Am a Portal to the Universe” a cura di Stefanie Posavec, che ha vinto numerosi premi, e vuole avvicinare le persone a un’osservazione del mondo scientifica ma anche creativa. Guardaci dentro, qui.
Dicevamo, le riviste:
Abbonamento alla Market Cafè Magazine, a cura di Tiziana Alocci e Pietro Zagami, una rivistina indipendente fatta con amore e piena di ispirazione su dati e design.
La rivista cartacea Nightingale, prodotta dalla Data Visualization Society, che si può comprare anche accorpando più numeri tutti insieme, passando da qui.
Fammi sapere se prenderai spunto da questi consigli e, ovviamente, sappi che anche i miei figli di carta Ti Spiego il Dato e Dentro l’algoritmo sarebbero felici di diventare tuoi regali di Natale 🎄
Ci sentiamo e leggiamo mercoledì prossimo!
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