"Come economista femminista il dato è il mio rifugio e il mio grimaldello"
3 domande alla data guest star di oggi, che ci regala anche delle fonti e dei libri da leggere
Oggi è l’ultimo mercoledì del mese, il giorno in cui una Data Guest Star risponde alle mie domande in tema “dati”. L’ospite di oggi ci porta nel mondo dell’economia di genere con una serie di fonti e informazioni molto utili anche per chi studia giornalismo e data visualizazion (ciao studenti del master e della magistrale che inizia tra poco, parlo di voi!).
Questa newsletter, come tutte quelle con le persone ospiti, sarà sempre senza paywall, ma l’archivio completo è per chi si abbona.
3 domande sui dati a... Azzurra Rinaldi
Viviamo nella stessa città, ma ci siamo conosciute di persona solo dopo che sono riuscita a invitarla a partecipare al festival di Istat a Treviso. Comodo, no?
Se dovessi descrivere con tre parole “la prof. Rinaldi” (è anche il suo nickname su X) direi competenza, sorellanza e paillettes, ma nella sua biografia ufficiale è scritto qualcosa in più: insegna economia politica all’università Unitelma Sapienza di Roma, dove è anche direttrice della School of Gender Economics. Nel 2022 ha fondato Equonomics, una società che porta l’equità di genere in aziende e istituzioni. È consulente della Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio. Fa parte del board della European Women Association ed è membro onorario del Board della UK Confederation. È componente del Comitato scientifico di Save the Children e dell’Osservatorio sul Terziario ManagerItalia. La trovate come opinionista su La Svolta e il suo ultimo libro è “Le signore non parlano di soldi”, uscito per Fabbri nel 2023. Ha anche una newsletter settimanale, esce il giovedì.
1. Nel tuo primo libro "Le signore non parlano di soldi" dici che per te i dati sono una "comfort zone". Puoi raccontarmi perché?
Il dato per me è un giano bifronte: un rifugio, come economista, ma anche un grimaldello da utilizzare con le persone che cercano di smontare le teorie femministe portando la propria esperienza personale. Se io racconto che esiste il privilegio, che gestire il denaro significa gestire il potere e così via, c’è sempre chi ti dice
sì, ma a casa mia è mia madre che ha sempre gestito i soldi. Sì, ma io ho sempre avuto cape donne.
In quel caso la mia risposta standard è quella che inquadra il vissuto individuale, che va bene, è valido, ma è poi il dato che ci dice il contrario, rispetto alla situazione globale. È con i dati che riesci a scardinare gli stereotipi, in Italia sono poche le persone che li usano bene e ho notato che come economista femminista quello che dico diventa automaticamente più forte se porto delle statistiche a supporto.
2. Quali sono i dati o le fonti che dobbiamo guardare quando cerchiamo di capire se c'è discriminazione nei confronti delle donne?
Tra le fonti che possiamo usare ci sono:
lo European Institute For Gender Equality (EIGE)
i dati di UN Women
il World Economic Forum con il suo Global Gender Gap Report.
A livello nazionale ci sono diversi report importanti: c’è quello dell'Inps sulla differenziale salariale per i lavoratori dipendenti del settore privato, ci sono i dati dell'Ispettorato nazionale del lavoro che riguardano per esempio le dimissioni, dove troviamo informazioni su quali persone fanno richiesta di dimissioni e quante vengono accolte. Ci sono tutti i dati sulle discriminazioni che le donne sperimentano sul mercato del lavoro.
Invece passando alla tipologia di dati dobbiamo guardare al differenziale salariale, al gender pay gap, al tasso di occupazione femminile comparato con quello degli altri paesi, il tasso di occupazione delle donne in età fertile o il tasso di occupazione delle donne in età fertile con un figlio o una figlia sotto i 6 anni, che è un dato auto-esplicativo: perché già il fatto che noi rileviamo queste informazioni solo per le donne e non per gli uomini chiaramente ci racconta qualcosa. Ci sono dei dati interessanti della Banca Mondiale sulla quota di donne che ricoprono posizioni di leadership, che nel 1995 era il 10 per cento a livello mondiale ed oggi è… il 10 per cento. Poi io guardo anche sempre i dati della UNDP sugli stereotipi, in particolare il Gender Social Norms Index (GSNI). Tra l’altro è interessante notare come la società mette in atto una serie di comportamenti che purtroppo vanno nella direzione di rafforzare lo stereotipo.
Uno su tutti: quasi il 50 per cento della popolazione mondiale, secondo questo report, ritiene che sia più importante per un uomo piuttosto che per una donna avere un lavoro.
Questa è una proiezione evidente del sistema patriarcale per cui l'uomo viene misurato in base al denaro che riesce a produrre e la donna invece no, basta che facciamo figli. E quando le aziende devono scegliere se assumere un uomo o una donna perpetuano questa situazione, anche a causa della normativa sul congedo di paternità e di maternità, che nella maggior parte dei paesi penalizza le madri, obbligate a prendere il congedo di 5 mesi, mentre i padri, che in Italia hanno 10 giorni, scelgono di sfruttarlo solo nel 57% dei casi.
3. C'è spazio oggi per chi vuole occuparsi di economia da un punto di vista "femminista", almeno secondo la tua esperienza? Che percorso di studi consiglieresti di seguire? E che libri da leggere?
Sicuramente c'è più spazio rispetto a 10-15 anni fa, anche se l'economia femminista in Italia è stata sempre un po' negletta, se pensiamo che al massimo parliamo di “economia di genere”, senza usare la parola femminista, che da noi è proprio difficile sentir pronunciare in questo settore, e i pochi corsi che ci sono rientrano comunque sempre nell'ambito delle teorie classiche o neoclassiche, quindi non vanno in rottura con il mainstream. Non ci sono percorsi di studio specifici in Italia, né specializzazioni, né master. Abbiamo un corso di Gender Studies in Sapienza che però è più incentrato sulla comunicazione, ma il problema è che le donne che si occupano di questi temi sono pochissime e non abbiamo la forza, lo dico brutalmente, per imporre un corso, di qualunque grado, sull’economia femminista.
Quindi la formazione deve essere individuale, magari appunto partendo da libri che sono caposaldi, come
A History of Feminist and Gender Economics, Becchio, G. (2019), Routledge.
Spunti per una pedagogia di genere. Dulbecco, A. (2023), Tlon.
Chi ha cucinato l’ultima cena? Storia femminile del mondo. Miles, R. (2021), Fandango Libri.
Beauty mania. Quando la bellezza diventa ossessione. Engeln, R. (2018), HarperCollins Italia.
Dovremmo essere tutti femministi. Adichie, C. N. (2014), Einaudi.
Invisibili. Come il nostro mondo ignora le donne in ogni campo. Dati alla mano. Criado Perez, C. (2020), Einaudi.
[la formattazione stile tesina universitaria è mia, anzi dell’AI di Bing]
Che dire, grazie Azzurra, domani approfondiamo anche con la tua newsletter, ma per ora abbiamo un sacco di materiale utile. Io vado subito a spendere i miei soldi per il libro di Rosalind Miles, che non avevo mai intercettato, mentre la cara Alessia Dulbecco è in lista di lettura.
La dataviz della settimana
Restiamo sul tema. Oggi abbiamo analizzato questo grafico sul gender pay gap (divario retributivo di genere) a lezione perché ha tutti gli elementi di una viz interattiva ben fatta - eh, grazie Donata, concept e design sono di David McCandless! - non solo per la parte grafica, ma anche per le sei righe finali di crediti che spiegano come si arriva alla realizzazione di una viz del genere. Molto lavoro di squadra (e poi, che generosità rendere pubblico il database finale <3)
[cliccate sull’immagine per vederla in modalità interattiva]
La lista delle risorse del mese
📒 Da leggere
Solo negli ultimi due mesi del 2023 sono stati diffusi oltre 1,5 terabyte di dati sanitari (circa due milioni di file!) sottratti a diverse strutture del nostro paese. Un approfondimento di Guerre di Rete.
Aprendo questo link penserete che ci sia qualcosa di rotto nella vostra connessione a internet o nel browser. E invece è solo un modo per capire quanta energia serve per far funzionare i data centre.
Abbiamo l’ossessione di misurare tutto. Ma è proprio necessario controllare le espressioni facciali di chi visita un museo?
Gennaio è finito, care persone iscritte a TSID, ma io temo di più i mesi corti che quelli lunghi. Per fortuna a febbraio avrò, anzi, avremo da festeggiare, non solo mangiando frappe (o bugie, o chiacchiere) per il carnevale, ma perché questa newsletter compie due anni. E siete ormai più di 6300 persone.
Grazie, a mercoledì!